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domenica 21 ottobre 2007

"Là ci darem la mano": una ‘pièce - pasticcio' di Roberto De Simone.

(Lucio de Angelis - Agenzia Radicale) Il Maestro Roberto De Simone é in scena fino al 28 ottobre al Teatro Quirino di Roma col suo ultimo lavoro ‘Là ci darem la mano', travestimento mozartiano in due tempi, che attinge all'antica e mai risolta querelle artistico-letteraria tra la genialità di Mozart e la cultura di Salieri, che tentò di avvelenarlo. Attingendo a testi di Pǔskin, Molière, Da Ponte e Rostand, che parlano di questo grande compositore, De Simone rielabora le sue musiche e cura la regia di una compagine completa e mista di interpreti e burattinai, di cantanti e concertisti. Tra i primi va segnalata la prova di Paolo Romano e Renata Fusco, tra i secondi quella del soprano Paola Quagliata e del mezzosoprano Francesca Russo Ermolli, mentre brillante è l'esecuzione della musica ad opera del complesso strumentale diretto dal Maestro Renato Piemontese. Nella pièce il testo del ‘Convitato di Pietra' di Pǔskin si mescola ai versi di Da Ponte per affidarsi ai burattini del Don Giovanni del Sole di Stefano Giunchi e Luca Rogna della Compagnia ‘Arrivano dal Mare!'.

Generi artistici a confronto, dunque, in un'altalena culturale tra la musica ed il canto, la drammaturgia e la letteratura, il canovaccio ed il testo, l'attore e il burattino. Nelle sue note di regia De Simone scrive: ‘La rappresentazione attraverso la Commedia dell'Arte, la vocalità asessuata dei castrati, la sensualità del femminile, i formulari burattineschi d'un eros sublimato in ritmi minimali, elenca la ripetizione del vivere o del morire, del cantare o del tacere, l'essere o non essere, del mangiare o dell'essere mangiati, dell'amare l'eterno ciclo senza riserve, annullandosi nell'incenerimento, fino a dispiegare il travestimento del più gioioso, irridente, ambiguo e burlesco contenuto moralistico'. Un'opera gioiosa e colta, questa ‘Là ci darem la mano', squisitamente teatrale e musicale, letteraria e visionaria, costruita tra equivoci e burle e trasformata da un'ambiguità irriverente nello scandalo di un fanciullo (Mozart), che gioca con Dio e con il Diavolo prima di sfidare persino la Morte. Mentre compone il ‘Don Giovanni', in una lettera dell'aprile del 1787 indirizzata al padre, gravemente colpito dalla malattia che lo porterà verso la fine, il compositore scrive: ‘Giacchè la Morte è l'ultima tappa della nostra vita, con questa migliore e vera amica dell'uomo ho da qualche anno maturato una familiarità tale che la sua immagine non soltanto non contiene per me alcunché di spaventoso, ma è piuttosto qualche cosa di rassicurante e di consolante ! Non vado a dormire senza pensare che potrei non essere più vivo al mattino - e nessuno, tra tutti quelli che mi conoscono, può dire che io sia di una naturale afflizione, o tristezza. Per questa felicità, ringrazio ogni giorno il mio Creatore e l'auguro di tutto cuore ai miei simili'. Dicendo che la Morte è la migliore amica dell'uomo, Mozart lancia una sfida non indifferente!

È così che egli raggiunge le vette del sublime di Schiller: con la sua azione, sa di cambiare il corso della storia passata, presente e futura, e non teme di scomparire da questo mondo, anche quando si sente mortalmente minacciato dai suoi numerosi nemici. ‘Con Mozart si entra nell'ambito di un gioco - conclude De Simone - dove il riso partecipa della tragedia e il dolore si veste dei panni della più gioconda e problematica commedia: quella del vivere !' E' De Simone stesso a ideare le musiche originali e a ‘warholizzare' il Don Giovanni, interpretato dall'orchestra dal vivo, diretta da Renato Piemontese, vero elemento fondante di questa pièce, lasciando la recitazione all'ottimo Franco Javarone (Antonio Salieri) al fianco di Biagio Abenante (Amadeus Mozart). In questa sfida tra Mozart, l'antico autore, e De Simone, il moderno manipolatore, è il primo a uscirne nettamente vincitore in virtù della sua genialità, in presenza della quale tanto Salieri in passato, quanto De Simone oggi hanno dovuto inchinarsi. Il jazz e il rap napoletano, inseriti nella colonna sonora dello spettacolo dal Maestro partenopeo, non frenano la dirompente musica mozartiana. Essa nel primo tempo, forse un po' più lento, dovuto ad una lunga introduzione musicale e alla poca coralità, accompagna, in un'atmosfera da tragedia greca, la figura di Salieri, e nel secondo tempo la potenzialità della compagnia.

Si arriva, così, al musical americano passando per il teatro dell'arte, le guaratelle, il teatro dei mimi, il melodramma, in un cabaret finale a ritmo di marcia turca, cocktail o pasticcio, se preferite, che forse non giova alla pièce e non provoca grandi consensi da parte del pubblico. Le musiche sono eseguite non da una regolare orchestra settecentesca con gli archi a protagonisti, ma da un moderno complesso con tastiera e basso elettrico senza alcun violino. Le sfumature di fondo sono un contorno favoloso; scenografia e costumi diventano così un particolare che non passa inosservato, merito di Nicola Rubertelli e Odette Nicoletti.

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