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giovedì 21 agosto 2008

Sergio Cofferati: "Questo Pd è senz'anima". Colloquio con il candidato sindaco.

Veltroni non si discute. Ma senza congresso il partito non ha programma e valori definiti. Parola di sindaco.

(Gigi Riva - L'Espresso) Ci vorrebbe un congresso. Anzi, si doveva farlo subito dopo la disfatta elettorale di aprile. Perché un congresso disegna la struttura del partito, ne definisce i valori e il programma: cose che oggi nel Partito democratico sono molto confuse. Sergio Cofferati lo chiede in questa intervista con 'L'espresso', però non si illude. Gli diranno di 'no' perché si è preferita la formula dell'assemblea programmatica, dopo la quale non ci sarà più il tempo: troppo vicine le scadenze elettorali, amministrative ed europee.

Cofferati, un congresso serve, talvolta, a mettere in discussione il leader. Walter Veltroni è sotto pressione. Si fanno i nomi di possibili successori (Enrico Letta, Pier Luigi Bersani) e quelli dei congiurati (il solito Massimo D'Alema).

"Non è in discussione la leadership. Il segretario è Veltroni. È stato scelto con la validazione più ampia ed efficace possibile. Detto questo io sono convinto che un congresso avremmo dovuto organizzarlo subito dopo il voto per poterlo chiudere entro l'anno e affrontare le prossime scadenze elettorali avendo risolto il problema".

Se non è in discussione la leadership, che cosa merita un chiarimento?
"Un partito di massa ha bisogno di una struttura flessibile ma ben definita. E radicata nel territorio. Un partito deve avere una presenza in tutti i luoghi. Quando si esamina il fenomeno Lega e si resta sorpresi dai suoi risultati in certe zone, si trascura il fatto che in quelle zone la Lega è capillare e strutturata".

Come un tempo la Dc e il Pci.
"Appunto. Il Pd non può pensare di essere un partito di massa senza un punto di partenza che sia il partito di modello novecentesco. Quello è il punto più antico ma indispensabile. Poi ci sono altri livelli più flessibili dove dibattere, Internet, la tv, la stampa. Io vado in sezione e discuto con gli altri. Poi i militanti si confrontano con chi la pensa come loro, o anche no, attraverso gli altri strumenti. Ciascuno dei quali non è risolutivo in sé, vanno usati insieme".



Insomma la modernità inserita su una struttura classica. Andrebbe bene se non fosse che alla sinistra pare venire meno quella base volontaristica che era l'anima delle sezioni e che ora pare appartenere alla Lega.

"È vero. Ma una struttura la si costruisce solo con un congresso. Perché è in quella occasione che si contano gli iscritti, si definisce un programma fondamentale, la Magna Charta che è poi la ragion d'essere per la quale si sta insieme. Il congresso poi stabilisce cosa fare in coerenza col programma e a quel punto possono nascere opzioni diverse perché condividiamo gli stessi valori ma pensiamo a un modo diverso per attuarli. Le mozioni danno origine alle correnti in un percorso trasparente e limpido".

Le correnti, invece, sono nate prima...
"Oggi soffriamo perché siamo nati di corsa, non abbiamo una struttura definita o l'abbiamo solo vagamente annunciata. E allora ci portiamo dietro le correnti dei Popolari (neanche della Margherita, dei Popolari) o dei Ds, che si sono tra loro affiancate e sovrapposte".

La fusione fredda tra il riformismo post comunista e cattolico presenta crisi di rigetto?
"La fusione fredda andava fatta. Adesso non ci si può fermare ecco tutto. E allora le mozioni per un congresso sarebbero servite a rimescolare le carte oltre le posizioni date di partenza. La Conferenza programmatica a cui andiamo incontro è importante ma non risolutiva per questi problemi".

Andrete alle prossime scadenze elettorali senza aver definito questa benedetta struttura.
"Ed è un guaio. Il segretario nazionale e quelli regionali sono stati eletti in un modo, gli altri livelli di direzione in un altro, in qualche caso si è preceduto per cooptazione. Se eleggi il segretario nazionale con le primarie anche gli altri devono avere la stessa legittimazione. E invece per il Parlamento non l'abbiamo fatto. L'anno prossimo i cittadini andranno a votare candidati alle amministrative sottoposti alle primarie e candidati alle europee che non avranno fatto lo stesso percorso. Non va bene".

Lei cita le amministrative. Il caso Chiamparino e le polemiche seguite dimostrano come, fatta la tara di tutto il resto, c'è un problema di rapporto tra il centro del partito e la periferia.
"Il problema del rapporto che i livelli istituzionali, come i sindaci, devono avere col partito è vecchio come il mondo. Chi esercita un ruolo istituzionale credo debba avere e utilizzare la necessaria autonomia. Il che non vuol dire essere in disaccordo col proprio partito, ma che le decisioni a livello locale hanno sedi proprie".

Lei è sempre un fautore del Partito del Nord?
"Sì. Ci sono degli elementi che identificano dei confini socio-economici. Il Nord, compresa l'Emilia Romagna, hanno le stesse dinamiche di rapporti economici e sociali che andrebbero riconosciuti. Non per creare un altro partito e il suo leader, idea che non mi ha mai sfiorato, ma per orientare delle scelte che servano a un determinato territorio".

Un territorio cui la sinistra non sa più parlare.
"È parzialmente vero. In Emilia Romagna il rapporto tra istituzioni e mondo delle imprese è sempre stato fecondo. E nessuno può sostenere che non succedeva altrettanto a Genova-Torino-Milano per citare il triangolo industriale classico".

Trapassato remoto. Poi qualcosa si è rotto.
"La grande impresa è entrata in crisi. Il fenomeno della piccola e media impresa emergente non è stato osservato con sufficiente attenzione dalla sinistra".

Se da una parte il Pd è accusato di non aver capito la 'modernità' di alcune aree del Paese, dall'altra gli si imputa di non essere di sinistra o di non esserlo sufficientemente.
"Io non credo. La nostra radice è il riformismo di sinistra che in Italia è sempre stato forte almeno come quello cattolico. Quella radice non deve scomparire".

Un po' generico. Di quali valori si riempie di contenuti il Pd?
"Il riformismo ha come obiettivo il cambiamento della società, dunque della vita delle persone. Ciò avviene in un sistema di diritti riconosciuti e rispettati. L'emancipazione delle classi più deboli arriva quando si coniuga il miglioramento delle condizioni materiali con la dignità e i diritti".

Caliamo nel pratico l'assunto teorico.
"Bisogna agire per dare ai ragazzi la prospettiva di un lavoro stabile e culturalmente ricco. Ma se a quel lavoro non fosse riconosciuta la giusta mercede, per usare un termine antico, e i necessari diritti, ecco che si lederebbe la dignità di quella persona e di quel lavoro".

Una volta risolti i problemi interni, poi il Pd si deve porre il problema di come vincere.
"Stabilito un programma, bisogna poi essere coerenti e rigorosi, pochi punti ben definiti. L'obiettivo deve essere quello di vincere e governare. Non semplicemente di vincere come è successo in passato. Il limite dell'Unione è stato proprio quello: ha vinto ma non è stata in grado di governare. Allora la coerenza. Non si possono tenere insieme protezionismo e mercato, welfare e filantropia, che sono, ad esempio, le contraddizioni che esploderanno nella coalizione attualmente al governo".

Insomma la base è un programma. Da attuare con chi? Guardando al centro di Casini, aprendo di nuovo a sinistra?
"Il Pd è il più forte partito di opposizione. Semmai sono gli altri che devono guardare a noi. Il centro del campo dell'opposizione è nostro. Partiamo da lì".

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