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giovedì 22 maggio 2008

Stampa cattolica. L'Avvenire: Quando l'accusa di omofobia viene dispensata gratis.

Le unioni gay hanno "carattere mimetico" e "strutturale fragiità".
(Francesco D'Agostino - L'Avvenire) La dichiarazione della ministra Mara Carfagna di non voler concedere il patrocinio del governo alla manifestazione del Gay Pride ha suscitato le solite prevedibili polemiche, culminanti nell’accusa di omofobia.

Negare il patrocinio equivarrebbe a misconoscere i diritti dei gay, a partire da quello dotato di maggiore spessore simbolico, il diritto al matrimonio. Poco mi interessa, in questo momento, valutare su di un piano strettamente politico l’atteggiamento della giovane ministra (atteggiamento peraltro, non privo di saggezza, a quanto ho potuto percepire dai giornali, anche da quelli più antipatizzanti nei suoi confronti).

Più della questione politica quella che qui si rileva è infatti una questione giuridica ed antropologica, tutto sommato elementare, ma in merito alla quale si continuano a sollevare polveroni ideologici. Riassumiamola in pochi punti essenziali. Primo punto: hanno diritti i gay?

Certamente sì; hanno esattamente gli stessi diritti di cui gode qualunque altra persona umana: sarebbe assurdo il solo dubitarne.

La nostra Costituzione, all’art. 3, stabilisce con limpida fermezza che tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. Sarebbe difficile immaginare una formulazione migliore del principio costituzionale di eguaglianza. Ne segue che ogni discriminazione nei confronti degli omosessuali, a causa della loro omosessualità, è per la nostra Costituzione (e per la nostra coscienza civile) intollerabile e va assolutamente rimossa.

Secondo punto: hanno diritto i gay a manifestare pacificamente contro qualsiasi discriminazione venga perpetrata nei loro confronti? Ancora una volta: assolutamente sì (alle consuete condizioni di ordine pubblico che ogni manifestazione deve rispettare).

Terzo punto: hanno diritto i gay ad ottenere il patrocinio del governo per le loro manifestazioni? La risposta è no: tutti coloro che attivano una manifestazione hanno ovviamente il diritto di 'chiedere' il patrocinio, non quello di 'ottenerlo'. Spetta al governo valutare se concederlo, in base a un criterio molto semplice: è in gioco un reale interesse pubblico? Nel nostro caso: è in atto una tale discriminazione nei confronti degli omosessuali, da giustificare a favore del Gay Pride un patrocinio, così altamente simbolico, come quello governativo? La risposta è negativa, a meno che non si diano (ma nessuno oggi ci riesce) esempi concreti di discriminazioni sociali in atto nel nostro paese nei confronti dei gay.

Quarto punto: il mancato riconoscimento legale in Italia delle unioni omosessuali non costituisce obiettivamente una discriminazione nei confronti dei gay? No, a meno che non si provi (e non semplicemente si affermi) il contrario. Ma si tratta di una prova impossibile, perché al diritto non spetta qualificare giuridicamente la vita sessuale dei cittadini (e meno che mai quella dei gay). C’è una sola eccezione a questo principio, quella del matrimonio, che è però istituto strutturalmente eterosessuale, perché fondativo della famiglia (come riconosce l’art. 29 della nostra Costituzione).
La pretesa dei gay di ottenere per le loro convivenze un qualsiasi riconoscimento legale (fino a quello matrimoniale) non ha motivazioni sociali, ma solo psicologiche e simboliche, motivazioni che dimostrano il carattere mimetico delle unioni omosessuali (rispetto a quelle eterosessuali) e la loro strutturale fragilità (un’unione intrinsecamente forte si difende tranquillamente da sola, senza chiedere aiuto al diritto). Quinto punto: chiunque difenda posizioni come quelle cui sopra si è accennato sa bene di prestare il fianco all’accusa di omofobia. Si tratta naturalmente di un’accusa che è ben difficile evitare, in un dibattito così ideologicamente connotato come quello sull’omosessualità. Non si dovrebbe però mai dimenticare che il prezzo per non essere accusati di omofobia sta diventando ormai troppo alto, se è né più né meno che quello di cedere (consapevolmente o inconsapevolmente) all’'eterofobia'. Cosa altro è, in fondo, se non un segno di irriducibile e inaccettabile 'eterofobia' il tentativo di svuotare dal di dentro la realtà antropologica e storica del matrimonio, come unione tra uomo e donna?

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