(Francesco De Leo - Il Riformista) Si dice siano 4000 gli omosessuali impiccati o lapidati in Iran in questi trent'anni di Repubblica Islamica. «Non è vero! Semplicemente perché non esistono», fu la risposta del presidente Ahmadinejad a chi gli chiedeva di fermare queste atrocità in un pomeriggio americano alla Columbia University. Gli echi della vicenda di Seyed Mehdi Kazemi, che potrebbe essere estradato in Iran dove rischia l'esecuzione per il reato di lavat, sodomia, non interferiscono con la campagna elettorale e trovano poco spazio sul web. Se digiti "gay" su Google, ti viene fuori il segnale rosso di stop con la scritta la pagina richiesta è bloccata in base alle leggi della Repubblica Islamica. I blog, più difficili da controllare, riportano notizie della storia. Su quello del ventiduenne Babak, si legge: «Anche a me piace l'omosessualità e spero che un giorno sarà possibile viverla anche in Iran. Sostengo la causa di Mehdi».
«L'omosessualità in Iran è vissuta in due modi - ci dice Firouzeh Khosrovani, giovane documentarista iraniana appena rientrata da Roma per la presentazione del suo ultimo lavoro -Esistono due dimensioni totalmente differenti del fenomeno in Iran. C'è la condizione degli appartenenti all'alta società iraniana, che vivono la loro sessualità con tranquillità e divertimento. È il loro tenore di vita a permetterglielo, sono l'altro Iran, quello del nord di Teheran, grande vita, feste private, palestre da favola, ristoranti e auto di gran lusso. Per loro è tutto vissuto come un sogno, non hanno da nascondere nulla. Anzi è tendenza, fashion. Sono sempre in viaggio, hanno grande cultura e parlano più lingue. La comunità in cui vivono non interagisce con il regime, non ha bisogno di permessi, pratiche, uffici e burocrazia, anzi li protegge, isolandoli dai guai». È la Teheran privata che vive nel chiuso dei grandi appartenenti alle pendici dei Monti Alborz, che incontri al ristorante Boulevard, o al Monsun, se apprezzi la cucina asiatica. Ma in assoluto il posto più frequentato è il Sadaf, una palestra che trova eguali in Medio Oriente soltanto a Dubai, anni luce lontano dal Park Daneshjou, «l'altra dimensione di cui parlavo», racconta Firouzeh al Riformista. Questo è il posto frequentato da quelli per cui l'omosessualità è un incubo, «devono nascondere giocoforza la loro identità sessuale, cancellarla, potrebbe rappresentare la loro fine. In molti casi sono cresciuti in famiglie religiose, nell'angoscia di rischiare di perdere tutto. Il dramma maggiore per loro è che non riescono a creare comunità, non hanno modo di confrontarsi e solidarizzare». Conosce quel parco, Antonia Shoraka, critica cinematografica iraniana. «È all'incrocio tra le vie Enghelab e Hafez, dove dall'imbrunire ragazzi gay si prostituiscono. Molti di loro provengono dalla provincia di Teheran, allontanati dalle loro famiglie, vivono lì la loro disperazione. Ho conosciuto un ragazzo di Rasht, un centro vicino al Mar Caspio. Mi raccontava di aver cercato mille lavori diversi, di averne cominciati tanti, sempre abbandonati, perché denigrato e disprezzato per il solo fatto di essere gay. Nel parco tante volte - continua la Shoraka - il ragazzo era stato fermato e picchiato dalla Polizia Morale. Funziona così, se dai troppo nell'occhio ti arrestano, se eviti di metterti in mostra, tante volte ti tollerano».
L'avvocato Nasrin Sotoudeh difende i minorenni condannati a morte. Al telefono dal suo studio nel centro di Teheran, dice al Riformista: «L'essere gay di per sé non è un reato per la legislazione penale iraniana. Il problema è che quando sono scoperti nel praticare rapporti omosessuali, sono perseguiti nella stessa maniera di coloro che praticano rapporti extramatrimoniali con l'altro sesso. La differenza è nella pena. Gli omosessuali sono condannati a morte per impiccagione, gli adulteri alla lapidazione, chi fa sesso fuori dal matrimonio viene frustato». Le chiediamo se abbia mai difeso un omosessuale. «No, non mi è mai capitato. Però le dico, non avrei potuto comunque far molto. La legge islamica lascia poco spazio alla difesa. In presenza di testimone o dopo confessione, il gay sarebbe comunque condannato a morte. Non avrebbe via di scampo. L'unica arma in mano alla difesa è l'impossibile dimostrazione che il rapporto non sia stato consumato».
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