(Marzia Cangiano e Ciro Monacella - Libmagazine) Libmagazine ha avuto l’onore di incontrare Regina Bianchi, attrice di sublime valore, donna di fine cultura e incomparabile profondità interpretativa. Si è avvicinata al teatro giovanissima, quasi nascendoci, e “succhiando il mestiere del teatrante con il latte materno” come lei stessa ci ha detto; insieme ad Eduardo de Filippo è stata protagonista di svariate commedie nonché interprete di uno dei personaggi femminili più intensi del teatro del ‘900: Filumena Marturano, della quale ancora oggi per il pubblico ne è l’immagine. Oltre che per il teatro ha lavorato, con medesimo impegno, anche per il cinema con registi dello spessore di De Sica, Zeffirelli, Loy.
MC,CM: Ha esordito giovanissima nel teatro di Raffaele Viviani per passare poi a quello di Eduardo De Filippo, entrambi rappresentanti di una Napoli che sembra vivere solo nelle loro opere, entrambi autori di raro carisma. Quali responsabilità ha sofferto (se di sofferenza si può parlare) nel dar gestualità e voce a personaggi che erano espressione di due geni del teatro?
R.: Non ho esordito con Viviani ed Eduardo… Ho succhiato il “mestiere del teatrante” con il latte materno. Una mia antenata recitava alla Comedie Française a Parigi. Portata in scena a 8 giorni di vita, ho sempre fatto teatro con la “Compagnia Sociale” dei miei genitori, ma dopo anni di repertorio eterogeneo, decisi a 17 anni, di andare in compagnia Viviani. Il mondo di Viviani e De Filippo rispecchiava la realtà dei tempi: non c’è responsabilità altra che verso i tuoi maestri ed il pubblico, la sofferenza era pari alla gioia di recitare.
MC,CM: Lei ha interpretato quello straordinario personaggio che è Filumena Marturano, e a 70 anni dalla sua nascita è sicuramente l’unica vera Filumena: nessun’altra attrice dopo di lei (ricordiamo Pupella Maggio, Valeria Moriconi, Isa Danieli) ha saputo coglierne l’anima. Eppure la sua interpretazione è arrivata dopo quella altrettanto intensa di Titina De Filippo, ma lei è riuscita a fare suo il personaggio, dando vita ad una Filumena che non ha trovato più voce. Qual è stato il suo segreto?
R.: Ho avuto la fortuna di non imitare la grande Titina. Eduardo è stato un grande maestro; ha creduto in me più di me stessa. Io c’ho messo la mia umanità.
MC,CM: Parliamo di recitazione. Lei oltre che per il teatro ha lavorato anche per il cinema – film dello spessore di “Giudizio Universale” di De Sica, “Le Quattro Giornate Di Napoli” di Loy, e “Gesù Di Nazareth” di Zeffirelli, solo per citare i più noti. Relativamente alla gestualità, alla mimica facciale, al tono della voce, fra cinema e teatro si può parlare di due distinti modi di interpretare?
R.: Io ho recitato sempre nello stesso modo, era compito della regia cogliere i miei momenti migliori.
MC,CM: Negli anni ’70 c’è stato il cosiddetto “revival” della sceneggiata, trasposta al cinema, cui lei ha contribuito con svariate partecipazioni. Non prova un certo fastidio quando tale nobile forma d’arte (che nasce coniugando musica classica e teatro) è usata per descrivere con tono dispregiativo un atteggiamento che, stando al luogo comune, apparterrebbe esclusivamente ai napoletani?
R.: Trovo che la sceneggiata colga l’anima popolare di un grande città come Napoli; quando mi è stata proposta, l’ho interpretata con impegno, come per tutte le altre forme di spettacolo.
MC,CM: Parliamo un attimo della tv (solo un attimo!): ne è sempre stata lontana? Che tipo di spettatrice è, se lo è? Nel senso: con che difficoltà trova nei palinsesti qualcosa che le interessa?
R.: La televisione? Ho partecipato ai primi esperimenti televisivi nell’agosto del ’39 cantando canzoni napoletane (chi vuole può consultare i Radiocorriere dell’epoca, dove appaiono le mie foto). Sono tornata in TV negli anni ’60 con le commedie di Eduardo e vari sceneggiati. Come spettatrice ho amato molto alcuni lavori di quegli anni. Oggi purtroppo sono spesso delusa, salvo rare occasioni, per programmi scadenti e, condivido l’opinione di Donna Franca Ciampi su una “TV deficiente”.
MC,CM: Le rappresentazioni sono oggi concepite per arrivare alla maggior fetta di pubblico possibile sacrificando, molto spesso, profondità di contenuti (non a caso la proposizione in tv dei lavori di Eduardo è destinata a scomode fasce d’orario.) Non trova che questo atteggiamento possa alla lunga risultare accomodante e quindi nocivo per la sensibilità e la crescita del pubblico?
R.: Sono d’accordo: credo che il pubblico non abbia la possibilità di crescere perché non gli si propongono cose di valore (es. Benigni con Dante viene proposto quasi a mezzanotte).
MC,CM: Dulcis in fundo: Napoli città, pur stravolta, è uscita dalla guerra con grande e fervente vivacità culturale (immensi attori, immensi autori, pubblico attento). Tuttavia gradualmente negli anni è sembrata spegnersi. Basta a spiegare questo assopimento l’inarrivabile valore degli artisti della sua generazione che non hanno trovato eredi all’altezza? O secondo lei c’è dell’altro?
R.: Napoli non è spenta; gli elementi ci sono, sia registi sia attori, ma purtroppo le imprese vogliono inserire negli spettacoli attori e attrici televisivi che non sempre sono adatti al teatro vivo e vero.
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