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martedì 22 gennaio 2008

Un bel ricordo di Marina Cicogna. Agnelli senza pietà .

(Marina Cicogna - Vanity Fair) Ho letto molti scritti e ricordi su Gianni Agnelli, e nessuno mi ha convinto. Gianni non era così; è inutile «mitizzarlo» oltre la realtà - che lui fosse mitico è un fatto oggettivo, il «mito» nasceva con lui, con il suo percorso di vita e con la sua incredibile personalità. Ogni uomo è unico, alcuni lo sono di più, sono più belli, più intelligenti, più ricchi, più acuti, più spiritosi. E Gianni era tutto ciò, ma era innanzitutto un uomo, non un santo. Un uomo affascinante perché pieno di dubbi, un misto di antichi obblighi e contemporanee incertezze. Curioso di tutto, aveva sofferto per mancanza di tenerezze infantili ed eccesso di imposizioni, e per gli incidenti che lo avevano reso claudicante e impossibilitato a godere appieno della sua fisicità, dell'amore per gli sport; quegli incidenti avevano umiliato la sua integrità fisica negli anni in cui era ancora molto giovane. Aveva creato intorno a sé una corazza di difesa, di pudore, di educazione, e non era facile capire quando queste difese si abbassavano.


La gamba destra era stata lesa la prima volta da giovanetto, durante la guerra. La seconda volta, dopo un gravissimo incidente d'auto all'alba in una Costa Azzurra che era il luogo delle amicizie internazionali, delle belle donne e dei tavoli da gioco, ma non dei grandi chirurghi. Lui si ritrovò con quella gamba che i medici più volte gli consigliarono di amputare. Gianni si rifiutò. Non voleva: quel pezzo del suo corpo intendeva tenerlo.

Anche a costo delle sofferenze causate dal fatto che la circolazione sanguigna non arrivava al piede: se si feriva, lui nemmeno lo avvertiva, e così rischiò parecchie volte la cancrena. Dei mocassini morbidi che era obbligato a portare riuscì a fare un simbolo di eleganza, e della sua camminata incerta un'icona di stile. Per continuare a scendere in velocità le piste di sci, si fece costruire un sostegno di acciaio e pelle che gli reggeva la gamba. E anche quel gambale diventò simbolo di fascino.

A NAPOLI CON GLI SCARPONI
Il rischio lo aveva sempre divertito: al timone della sua barca, a vele spiegate, giocava a puntare dritto su una imbarcazione di amici, virando all'ultimo istante. Poi rideva in modo quasi infantile. Le sue montagne erano sempre state quelle del Sestrière e di St. Moritz. I primi anni, a St. Moritz, il suo elicottero si sollevava spesso dal lago dinanzi all'Hotel Palace, dove alloggiavano tutti i nostri amici, e atterrava in luoghi impensabili.
La mattina presto Gianni mi faceva buttare giù dal letto e, prima di raggiungere le piste da sci, passavamo in volo sbirciando dalle finestre del Palace i nostri amici ignari che iniziavano la giornata. Una volta, dalla cima di una montagna, fummo costretti a scendere con gli sci perché c'era troppa neve e l'elicottero non decollava con il nostro peso a bordo. Due ore a farsi strada nella neve fresca, sprofondati fino alla cintola.

La gamba doveva torturarlo, ma Gianni non disse una parola. Un'altra volta al Sestrière, dopo una discesa poco felice, senza che mi dicesse nulla, con gli scarponi ancora ai piedi, mi ritrovai sul suo aereo e poi seduta per la colazione a Napoli. A nulla valsero le mie proteste: le occhiate incuriosite e stralunate degli altri commensali lo riempivano di gioia.

Era curioso di tutto e di tutte le cose belle, compresa la moda femminile e i bei film. Ma non aveva la pazienza di assistere alla proiezione fino in fondo: conosceva, dei film, soprattutto il primo tempo. Era affascinato dalla meteorologia perché avrebbe sempre voluto volare verso i luoghi dove c'era il sole. Gli piaceva organizzare i menu con il cuoco e andare nei negozi di alimentari a comprare il cibo: in particolare amava scegliere il pesce fresco.

NUDO, SENZA PUDORE
Amava scherzare e fare dispetti. Nei primi anni di matrimonio, a Villa Leopolda, a bordo piscina, si avvicinava a noi, stesi a prendere il sole, e si soffiava il naso nei nostri asciugamani. Trovava così comiche le nostre espressioni indignate! Arrivò a casa un venerdì, all'inizio di un weekend pieno di ospiti, annunciando alla moglie Marella, atterrita: «Dobbiamo vuotare la casa entro domani a mezzogiorno. La sera arriva Adlai Stevenson (grande intellettuale, candidato alla presidenza degli Stati Uniti, ndr) e qui solo Mozzoni (che ero io) parla bene l'inglese».

Era dispettoso persino con i bambini: a loro riservava spesso pacche e pizzicotti affettuosi, ma non graditi. Forse neppure Henry Kissinger, che gli parlava al telefono più di ogni altro (salvo i collaboratori o gli amici come Jas Gawronski, Luca Montezemolo o la sorella Susanna), poté mai capire che Gianni, al di là di possibili vizi o debolezze, era un ufficiale di cavalleria del Piemonte: disciplinato, stoico, ubbidiente al dovere.

Delle abitudini militari aveva anche conservato una noncuranza per il pudore fisico. Non era certo esibizionista, ma gli veniva naturale nuotare nudo o chiacchierare tranquillamente con un amico (o un'amica) disteso nella vasca da bagno. Non l'ho invece mai visto indulgere dentro un letto.

LA MATTINA CHE LO CAMBIO'
Non gli piaceva sentir parlare di problemi economici. Se un amico gli chiedeva aiuto, si muoveva con diplomazia e generosità, spesso di nascosto. Ma la sua proverbiale impazienza gli impediva di affrontare argomenti che giudicava negativi.

Ogniqualvolta andava a New York, entrava nel negozio di cani a Lexington Avenue e ne comperava uno, a volte due, per poi deporli tra le braccia di Marella: «Ecco, ne ho salvato un altro». Poi ci si affezionava, come all'husky Dyed Eyes («occhi dipinti») o al mordace Yuki, da cui si fece quasi staccare una mano. Quello che più mi manca di lui non sono le telefonate all'alba - «No, non ti preoccupare, ero già sveglia...» - né le tante straordinarie avventure, ma i suoi commenti sugli avvenimenti, sulle persone, sulla politica: sempre puntuali, introspettivi e geniali nella loro concisa esattezza.

Aveva un intuito infallibile, non influenzato da antipatie o pregiudizi. Aveva rispetto delle cariche, delle caste e del successo. Purché non fosse macchiato da spocchia, volgarità o atteggiamenti ridicoli. La poca pazienza che aveva la riservava alla più stretta cerchia familiare. Loro sapevano non approfittarne, e lui prestava loro orecchio, attenzione e comprensione. Quando la figlia Margherita per protesta si presentò a casa con la testa rasata, lui andò con lei a tavola come nulla fosse.

Con Edoardo, il figlio minore, era più duro: i due caratteri non erano fatti per intendersi, ma non c'è dubbio che quella terribile mattina - la mattina in cui dovette andare sotto un viadotto autostradale a riconoscerne il corpo - lo cambiò in modo silenzioso e definitivo.

Da quel momento avvenne la stessa cosa che avevo notato in mio padre dopo il suicidio di mio fratello: si lasciò ingrassare, si vestì con meno cura, spesso lo vidi un po' spettinato malgrado l'attenzione del suo valletto, l'insostituibile Brunello.

LAPO. L'ALTRO LATO DI SÈ
Negli ultimi tempi lo aiutò parecchio la presenza dei nipoti Elkann, Jaki, Lapo e Ginevra. Anni prima, molte incertezze familiari si erano ricomposte nelle mani di Giovannino, l'erede designato, un giovane bello, responsabile e malinconico che rappresentava il futuro di famiglia e azienda.

Ma che poi era scomparso in modo tragico e prematuro. Jaki era ancora più giovane, egualmente coscienzioso e affidabile. Fu scelto per sostituirlo, con una prontezza che alcuni giudicarono priva di sentimenti: un segno di continuità e senso del dovere. A questo Jaki si è adattato nel modo apparentemente più autorevole e naturale.

Lapo è la fantasia, la spensieratezza, la curiosità sfrenata di vivere, la gentilezza, il piacere enorme di piacere. In questo Gianni riconosceva l'altro lato di se stesso. Ginevra è il «collante». Con amore e fermezza, tiene insieme la famiglia. Ma non è la stessa cosa, ora che non c'è più la persona a cui nessuno osava dire di no.

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