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giovedì 17 gennaio 2008

Modelli per le Accademie di Belle Arti. Nudi per quattro soldi.

Nelle Accademie sciopero delle modelle: “Ci trattano come bidelle dell’arte”.

(Francesco Olivo - La Stampa) Immobili sì, ma invisibili no. Le modelle, e i modelli, delle accademie e dei licei artistici si ribellano: oggi niente pose. Lo sciopero è stato indetto dai Cobas per protestare contro il precariato ormai diffusissimo anche in quegli ambienti e per ottenere un riconoscimento professionale che oggi viene negato. Per secoli sono state figure fondamentali per pittori e scultori, ma negli ultimi tempi sono passati di moda e, anche nelle accademie, l’ingresso delle nuove tecnologie sta cambiando tutto. Fanno un lavoro duro, al freddo, sempre nudi, con stipendi di appena 900 euro, quando va bene. La maggior parte di loro vive con contratti a progetto, da 25 euro lordi l'ora. Per i più fortunati, invece, il contratto è annuale, da personale non docente, in pratica dei bidelli dell'arte. Oggi saranno alla Sapienza per l'inaugurazione dell'anno accademico, sperando di poter incontrare il ministro Mussi, al quale hanno inviato una lettera con le loro rivendicazioni.

«Il nostro lavoro non viene riconosciuto, posiamo anche per otto ore al giorno e ci trattano come materiale didattico - racconta Antonella Migliorini, 42 anni, fiorentina, modella vivente di lungo corso - eppure facciamo una professione difficile con una lunga tradizione alle spalle, che richiede fantasia e grande resistenza fisica. Le accademie e i licei non ci considerano, spesso violano la nostra privacy, gli artisti vogliono fotografie, ai direttori degli istituti interessiamo soltanto quando arrivano le telecamere della Rai, ma non siamo pornostar».

La storia di Antonella comincia 17 anni fa sulla spiaggia di San Vincenzo, nel livornese, quando una signora chiede di poterla ritrarre per un disegno. Lei accetta e dopo poco finisce a posare in un liceo artistico di Firenze. «Di solito, però, si inizia con una specie di esame fatto da una commissione di insegnanti. Dicono di valutare le capacità delle persone, ma alla fine scelgono le più carine». Si fa tanta gavetta anche per posare, «non c’erano i soldi per pagarmi, così la preside dell’artistico passava nelle classi e chiedeva ai ragazzi “volete la modella o i pennarelli nuovi?”, per fortuna gli studenti mi preferivano alla cancelleria. Così sono andata avanti per tre anni a diecimila lire l'ora. Poi si è liberato un posto e mi sono guadagnata un contratto annuale».

E’ un mestiere particolare quello dei modelli, a una certa età si smette, «sì, nelle accademie siamo tutti abbastanza giovani, ma è un errore, gli studenti non devono imparare soltanto a ritrarre Venere, esistono anche Cristo e San Girolamo, no?». I modelli viventi, proprio in quanto semiclandestini subiscono tante discriminazioni: «Una volta nel 1996 ci fu un caso di tubercolosi in una classe, furono immediatamente disposte analisi per studenti e professori, il direttore mi chiamò e mi disse “faccia lei”. E’ una condizione umiliante, pensi anche al rischio di intossicazione che si corre con le vernici, la Asl fa verifiche su tutti tranne che su di noi, che viviamo sempre a contatto con i pennelli».

Il fatto di spogliarsi per mestiere può causare qualche imbarazzo: «I ragazzi, a dire il vero, sono sempre rispettosi, mai una battuta oscena o un doppio senso volgare. Delle volte, però, non si fa attenzione a chi entra nelle classi, qualche anno fa si è presentata una comitiva di giapponesi, trenta persone che scattavano foto, mi sono subito coperta». Di equivoci ne succedono tanti: «E’ capitato che una ragazza posasse coi tacchi a spillo e le calze a rete, forse pensava di andare a fare la lap-dance in discoteca. In realtà, è un mestiere molto duro, quando lo si sceglie bisogna saperlo, arrivano tante persone pensando di rilassarsi e si ritrovano per ore fermi, in aule enormi, gelide e sudice, sono in molti a essere scappati dopo mezz'ora». Chi fugge, forse, lo fa anche per la precarietà di un settore, che non riesce a raggiungere un riconoscimento dallo Stato, il vero problema è che non esiste alcuna garanzia sul ricollocamento nel mondo del lavoro una volta che si smette di posare.

Della questione promette di occuparsi Nando Dalla Chiesa, sottosegretario all'università con delega alla formazione artistica: «Ci incontreremo presto, anche con il ministero della pubblica istruzione, voglio approfondire la vicenda». Le complicazioni burocratiche non frenano l'ottimismo di Antonella, «Il futuro? La laurea in Storia del teatro, mi mancano pochi esami. Mi piacerebbe insegnare, ho l'abilitazione per le scuole di infanzia, per qualche anno continuerò a posare, ma poi basta, mi rivesto per sempre».

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