Largo quindi al verde militare, alle sciarpe che ricoprono interamente il viso, alle stampe di pistole sui pantaloni – alcuni rigorosamente al ginocchio –, alle maglie con le effigi di un teschio, a tute mimetiche, reti, caschi – anche blu - e veri e propri armamentari da combattimento. Ma esagera vuole anche maschere antigas, anfibi militari, giubbotti di salvataggio, palme, bandane e il kefiah, ovvero, il tradizionale copricapo palestinese a scacchi – o neri o rossi – che è di fatto una sorta di emblema arabo. E dopo tanta guerra, la fine del mondo. Modelli che sembrano usciti dai frame dell’anime giapponese “Ken il guerriero” o dalla saga australiana di “Mad Max”: lo stile punk impera fra creste, borchie, catene ed elmi originalissimi. È finita la battaglia per la pace, inizia quella per la sopravvivenza.
Una parabola sulla più grande catastrofe umana che prosegue alla ricerca del soldato o del punk - con addominali e pettorali in bella vista - che salverà la vita ai più indifesi, perché - come ha scritto già qualcuno - per una volta Galliano cambia massima: “Facciamo l’amore mentre facciamo la guerra”. Quindi se proprio dobbiamo combattere… meglio portare la sua firma!
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