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lunedì 7 luglio 2008

José Maria Aznar, "Zapatero usa la laicità per nascondere la crisi della Spagna". E sui matrimoni gay...

((Manila Alfano - Il Giornale) «Sediamoci qui, staremo più freschi». Navacerrada è un buon rifugio e un posto abbastanza isolato per ragionare con calma di politica. Le montagne tengono lontana la Madrid di Zapatero, più povera e sempre più affamata di laicismo, quella che accoglie gay e lesbiche da tutto il mondo per celebrare l’orgoglio omosessuale. Sabato scorso l’ultima manifestazione, appuntamento nelle strade della capitale. Quest’anno la sfilata era dedicata alle donne: «visibilità lesbica» era il titolo. José Maria Aznar guarda da lontano e commenta il congresso dei socialisti. Sono appena arrivate le ultime notizie sulle intenzioni del premier spagnolo, via i crocifissi dai luoghi pubblici e via la liturgia religiosa anche nei funerali di Stato e nel giuramento dei ministri. «Non si fermeranno mai - dice -. Zapatero alza il tiro solo per nascondere agli spagnoli la crisi economica». Ma l'uomo forte del Partito popolare non si muove più solo sul fronte di Madrid. Il suo campo di battaglia è più largo. Ora si chiama Europa.

La ferita è ancora lì ed è una di quelle che cambiano la storia. Sono passati quattro anni e qui quando ne parlano faticano ancora a scandire quella maledetta data per intero. L'undici spagnolo, lo chiamano, e per tutti è l'incontro con il terrore: «L’attacco brutale». José Maria Aznar in quel marzo 2004 era il capo del governo. Ore 7,36 del mattino. Dieci zaini carichi di Goma 2 vengono fatti esplodere in quattro treni regionali di Madrid. Si contano i morti e saranno 190. Più tardi si saprà che i terroristi sono islamici. Tre giorni dopo arrivano le elezioni. Aznar è sconfitto e per lui comincia un'altra vita.

Presidente, perché quel giorno accusò l'Eta?
«Ho saputo della tragedia alle sette del mattino come tutti gli spagnoli. Ho subito capito la gravità della situazione. Mi arrivavano informazioni continuamente. I miei collaboratori, i servizi segreti nazionali e stranieri, le mie fonti, tutti dicevano un solo nome: Eta».
Cosa ricorda di qui momenti?
«Io ho sofferto molto in quel periodo. Per le vittime prima di tutto e per la Spagna».
Rimpianti?
«No, ma spero due cose: la prima è che non si ripeta un attacco così brutale, e secondo che nessuno imputi al governo la responsabilità di un atto terrorista. Ai socialisti rimarrà sulla coscienza l'aver vinto strumentalizzando una tragedia e questo è molto pericoloso per una democrazia. Questo spero che non succeda più».
Qual è il segreto del successo economico spagnolo?
«Flessibilità e stabilità».
La flessibilità per molti significa precariato?
«Il precariato è il contrario della flessibilità. E nasce da un mercato rigido che lascia senza regole i più deboli. Il mio governo ha impostato una riforma del lavoro che ha permesso alla Spagna di produrre di più e abbattere la disoccupazione. Salari e investimenti sono migliorati grazie a una politica fiscale intelligente, che non depreda imprese e lavoratori. Zapatero ha trovato una Spagna più ricca, ma sta facendo di tutto per renderla più povera».
La Spagna è diventata intanto il simbolo del laicismo. Moderna e tollerante.
«Attenzione: non la Spagna ma il governo socialista di Zapatero. Sono due cose ben diverse. La domanda vera è cosa è diventata la sinistra oggi».
E la risposta?
«Alla sinistra mancano idee concrete: questo fine settimana il Partito socialista si incontra per un meeting nazionale. La Spagna sta attraversando la crisi economica più grave degli ultimi vent'anni. Certo, non solo a causa delle non scelte politiche di Zapatero, ma anche per il riflesso della crisi internazionale che sta colpendo anche il nostro Paese. Eppure vuole sapere quali sono i temi trattati durante questo meeting?».
No, me lo dica.
«L'aborto, l'eutanasia, il crocefisso e i simboli religiosi nei luoghi pubblici. Nessuno che parli di economia. Non c’è stato un solo politico rappresentante del Psoe che abbia proposto soluzioni, che abbia saputo tracciare linee concrete per uscire da questa gravissima impasse».
E questo perché?
«È un gioco fatto ad arte per confondere le idee. Radicalizzazioni, estremismi per nascondere i problemi veri, la disoccupazione, il valore del lavoro, i salari. Il Partito socialista si è ridotto a cambiare i valori morali nella società. Ha creato un laicismo militante, radicale e fondamentalista, che non ha nulla a che fare con la libertà religiosa. L'occidente è una società cresciuta e fondata sui valori cristiani. Sarebbe uno sbaglio cancellarli. E ciò che i padrini del fondamentalismo aspettano. Un'Europa debole e senza identità».
L'identità ha a che fare con i matrimoni gay?
«Anche. Io sono a favore della vita. Il mio partito crede nel valore fondamentale della vita. Ma una cosa è un matrimonio eterosessuale, i figli. La famiglia insomma. Altra cosa sono i matrimoni omosessuali. Non sono equivalenti e secondo me non sono equiparabili».
E la destra, non ha nulla da rimproverarsi?
«La destra da troppo tempo si porta dietro un complesso di inferiorità. Ha combattuto tante battaglie, la dittatura, il leninismo, il nazismo. Eppure ancora ci si vergogna a dire che si è di destra».
L'errore più grande?
«Vergognarsi per colpe che non ha. Non bisogna dimenticare che la destra ha da sempre lottato per difendere la libertà contro la tirannia».

Il governo socialista vuole introdurre il voto per gli immigrati. È d'accordo?
«In realtà per come lo hanno impostato loro suona un po' strano. Io credo che abbiano diritto di voto tutti coloro che pagano le tasse. Deve essere messo in relazione alla propria nazionalità».
Il governo Zapatero ha accusato l'Italia di utilizzare metodi troppo duri contro i clandestini. Cosa ne pensa?
«Un atteggiamento nei confronti dell'Italia molto poco corretto. Si può essere d'accordo o meno con le scelte del governo italiano. Il punto vero è che il tema dell'immigrazione è fondamentale e non solo per l'italia, ma per tutti i Paesi dell'Europa. Bisogna riconoscere a Berlusconi di aver trattato fin da subito l'immigrazione come un problema europeo. Ed io sosterrò la sua politica in Europa. In tutti i modi».
Eppure la linea di Zapatero in materia di immigrati sembra funzionare.
«Zapatero era contrario anche alla nostra politica di immigrazione. La sua formula è "papeles para todos", ovvero documenti per tutti, con una massiccia regolarizzazione, e tutto sulle spalle dell'Unione europea. Con i clandestini non può esistere demagogia. Contro l’immigrazione illegale non ci possono essere scelte individuali ma linee dure che partono dall’Europa. Ecco. Questo è uno dei temi fondamentali che dovrebbe entrare subito nell’agenda dei ministri europei».
Cosa le piace della politica di Zapatero?
«È facilmente criticabile. Le sue posizioni sono idee fondamentalmente profondamente labili, dal punto di vista formale e di contenuto».
Cosa non sopporta di lui?
«Politicamente ha fortissime carenze. Sta colpendo i valori della società per sottrarsi alla realizzazione di politiche più concrete».
Il referendum irlandese ha bocciato il trattato di Lisbona. Dove hanno sbagliato i leader europei?
«L'Europa è arrivata ad uno snodo determinante. Deve decidere in fretta. Per sopravvivere occorre un recupero forte e deciso. I Paesi dell’Europa sono potenze economiche. L’Ue non può morire di burocrazia. Serve l'anima. L'identità, appunto, che deve essere recuperata a partire dai valori che hanno formato la cultura Occidentale moderna».
È ottimista?
«No, non sono per niente ottimista. Le cose non vanno come devono andare. Ci sono troppi conflitti pratici. Il problema delle arance tra Italia e Spagna ad esempio è sempre stato sentito come più importante di tutti i problemi istituzionali. Non possiamo cadere sulle arance».

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