(Alberto Giannino - Img press) Consumo di cocaina, festini nella casa di papà, club privè riservati e accesso con tanto di tessera, dark room, orge con ballerine e con travestiti, giovani benestanti, calciatori di fama mondiale, studenti universitari costretti a prostitutirsi per pagare affitto di casa e coca, modelli/e, starlette, politici, uomini d'affari, imprenditori, veline, letterine e non, che sniffano la "droga dei ricchi". La cronaca è impietosa. E' un susseguirsi anche di notizie di giovani e meno giovani che fanno uso di cocaina, droga che, unita all'edonismo, all'abuso alcool, e al sesso sfrenato degrada l'uomo e lo abbassa al rango di uomo animale. Questo è oggi il quadro morale della nostra società post industriale e post moderna nell'era della globalizzazione. E i giovani che si drogano - piaccia o no- sono i figli sono i figli della nostra società neopagana, secolarizzata e scristianizzata. Assistiamo a un degrado morale pari solo a quello del tardo Romano Impero e della Grecia antica. E' opinione corrente degli esperti che la causa, forse, maggiore, della forza di presa della droga nell'animo giovanile sta nella disaffezione alla vita, nella caduta degli ideali, nella paura del futuro. Senza la prospettiva dei grandi valori, la persona umana, specie se ancora nella sua primavera, quando non ha ragione di vivere e di pensare con suggestione all'avvenire, cerca di fuggire dal presente per rifugiarsi nei surrogati o nel nulla. I giovani si sentono minacciati da una società che non hanno scelto, una società che non hanno costruito loro , ma della quale tuttavia fanno parte con responsabilità crescenti. Questa società sembra presa da follia quando mobilita tutte le proprie energie, per spingersi verso ciò che ne costituisce la distruzione. Il progresso scientifico e tecnologico ha reso l'uomo apparentemente padrone del mondo materiale. L'esperienza mostra, purtroppo, che non si tratta di un dominio scientifico neutro, come alcuni hanno pensato. L'uomo moderno, infatti, è tentato di considerare ogni cosa come un oggetto manipolabile ed ha finito spesso per porre tra gli oggetti manipolabili anche se stesso. Questa è la grande minaccia dell'epoca nostra! Sta ai giovani con quella attenta ponderazione che può benissimo congiungersi col loro naturale entusiasmo, offrire un personale contributo al superamento di situazioni insoddisfacenti, traendo ispirazione dalla loro fede e forza dal loro dinamismo. Loro lo possono fare mantenendo aperto il dialogo con gli adulti e parlando loro con franchezza, libera da ogni acrimonia: " Noi diremo loro: riconosciamo e traiamo vantaggio da ciò che ci offrite; noi non vi addebitiamo i frutti e i "confort" del progresso; noi non neghiamo i vostri meriti; ma vi chiediamo di poter essere al vostro fianco nell'eliminare certe storture, nel superare le perduranti ingiustizie. Noi vogliamo che il progresso sia positivo, e non micidiale; che sia di tutti e per tutti, non solo per alcuni; che serva alla causa della pace, e non alla guerra." La prima causa che spinge giovani ed adulti alla deleteria esperienza della droga è la mancanza di chiare e convincenti motivazioni di vita. Infatti, la mancanza di punti di riferimento, il vuoto dei valori, la convinzione che nulla abbia senso e che pertanto non valga la pena di vivere, il sentimento tragico e desolato di essere dei viandanti ignoti in un universo assurdo, può spingere alcuni alla ricerca di fughe esasperate e disperate. Stiamo assistendo infatti al diffondersi e al radicarsi in tutti gli Stati di una "morale laica", che prescinde quasi totalmente dalla morale oggettiva, cosiddetta "naturale", e dalla morale rivelata dal Vangelo. Noi non vogliamo fare il processo alla società: dobbiamo però constatare che tante carenze nella struttura della società, come la disoccupazione, la mancanza di alloggi, l'ingiustizia sociale, l'arrivismo politico, l'instabilità internazionale, l'impreparazione al matrimonio, la legalizzazione dell'aborto e del divorzio, delle unioni gay, causano fatalmente un senso di sfiducia e di oppressione che può sfociare talvolta anche in esperienze paurosamente negative. Se si vuole un umanesimo autentico, pieno e concreto bisogna pervenire ad un'antropologia più profonda e più globale, che consideri l'uomo come un soggetto personale, trascendente la sua esistenza ed operante lui stesso la sintesi di tutte le dimensioni del suo essere, senza isolare le une dalle altre, e senza lasciarle sviluppare a detrimento delle altre. Non è stato in effetti troppo privilegiato l'"avere" a spese del valore qualitativo dell'"essere", troppo identificato l'uomo col possessore delle cose, e praticamente ridotto l'uomo a sistemarsi lui stesso e a sistemare i suoi simili nel mondo delle cose, con la volontà di potenza, la paura, la lotta delle classi che ne deriva? Anche sul piano della scienza e della storia l'uomo tende a considerarsi come un risultato, il risultato del suo proprio processo evolutivo o dei meccanismi della vita sociale, come spossessato della sua soggettività, mentre invece è creatura di Dio, libera per realizzare l'unità del suo essere, per promuovere i valori umani fondamentali. Si tratta di ricomporre eticamente la personalità di ciascuno e della comunità.L'"uomo tecnologico", che pone ogni sua fiducia ed ogni interesse nella scienza e nella tecnica per ottenere il massimo del benessere, si trova poi deluso ed amareggiato di fronte allo scacco fatale della malattia, della sofferenza morale, della morte inesorabile. L'"uomo tecnologico" diventa perciò l"'uomo solo", perché affranto, minacciato, sconfitto. Il dolore fisico, unito a quello morale diventa un "dolore esistenziale", e apertamente o nascostamente si fa "dolore religioso", suscitando i supremi interrogativi e la domanda di significato. Una delle tendenze che si è andata intrecciando con l'incremento del benessere materiale nei nostri giorni, è l'indifferenza religiosa. Questo fenomeno si accompagna all'abbassamento del livello di moralità e al senso del vuoto. Ne portano il peso maggiore le vite giovanili, spogliate spesso del loro slancio e avviate ad effimeri e negativi surrogati della felicità. Occorre tornare continuamente, con disponibilità, alle ragioni profonde della fede. Allora si comprende che esse coincidono pienamente con le ragioni dell'uomo, poiché vi è nell'uomo «un abisso infinito, che non può esere colmato che da un oggetto infinito e immutabile, cioè da Dio stesso» (Pascal, Pensées). Allora si ricollocano in onore i grandi valori: la vita, innanzi tutto, dal suo primo sbocciare nel grembo materno fino all'ultimo respiro; l'amore umano, riflesso di Dio-Amore di cui parla Benedetto XVI nella sua prima Lettera Enciclica; la dignità del matrimonio: la santità e la stabilità del vincolo coniugale. L'uomo ha un bisogno estremo di sapere se merita nascere, vivere, lottare, soffrire e morire, se ha valore impegnarsi per qualche ideale superiore agli interessi materiali e contingenti, se, in una parola, c'è un "perché" che giustifichi la sua esistenza terrena. Questa dunque resta la questione essenziale: dare un senso all'uomo, alle sue scelte, alla sua vita, alla sua storia. "Gesù - ripeteva continuamente Mons. Luigi Giussani ai giovani - possiede la risposta a questi nostri interrogativi; Lui può risolvere la 'questione del senso" della vita e della storia dell'uomo. Dio si è incarnato per illuminare, anzi per essere il significato della vita dell'uomo. Questo bisogna credere con profonda e gioiosa convinzione; questo bisogna vivere con costanza e coerenza; questo bisogna annunziare e testimoniare, nonostante le tribolazioni dei tempi e le avverse ideologie, quasi sempre così insinuanti e sconvolgenti." E credo, senza dubbio alcuno, che Mons. Luigi Giussani, leader di Comunione e Liberazione, esperto in umanità, oltre che ministro di Dio, alter Christus, avesse profondamente ragione.
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