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martedì 8 gennaio 2008

È Will Smith il nuovo re di Hollywood.

(Marco Giovanni - Panorama) Una volta se la giocavano i soliti noti e la concorrenza poteva al massimo puntare al terzo posto, quello della “più famosa star del mondo che non si chiami Tom”. Ma adesso, dopo che Cruise si è affossato da solo, vittima delle sue mattane, e Hanks ha compiuto 50 anni rendendo difficili altri ruoli da fidanzatino d’America, il più potente attore di Hollywood, il proverbiale number one, è Willard Christopher Smith Jr detto Will. L’ha suggerito Newsweek, l’ha certificato Time. Ma bastava una calcolatrice: 2 miliardi di dollari incassati finora negli Stati Uniti (con una media di 120 milioni a film) e 4,4 miliardi nel mondo. E quello che è sorprendente è che piace qualunque genere affronti: fantascienza (I, robot), action comedy (Men in black), commedia romantica (Hitch), dramma (La ricerca della felicità).
Insomma, non è solo questione di dollaroni, tanto che Entertainment weekly l’ha infilato nella lista delle 50 persone più intelligenti di Hollywood; è al quinto posto, ma in copertina c’è il suo sorriso da cartone animato, perché evidentemente fa anche vendere i giornali (e Men’s Vogue ne ha approfittato per eleggerlo testimonial di stile).
E non è finita qui, perché è appena uscito il film I am legend (remake del cult anni Settanta 1975: occhi bianchi sul pianeta Terra, tratto da un romanzo del grande vecchio del fantastico Richard Matheson). Per un’ora buona Smith parla solo a un cane e a dei manichini, quando crede di essere l’ultimo uomo non vampiro sopravvissuto nel mondo.
Un film considerato rischioso (era in preparazione da oltre 10 anni; lui l’ha fermissimamente voluto) ma che ha incassato ben 75 milioni di dollari nel primo weekend. E, quasi fosse un premio, lunedì 10 dicembre Will ha infilato mani e piedi nel cemento fresco della proverbiale mattonella del Grauman’s Chinese Theatre, sull’Hollywood boulevard, il pantheon delle celebrità. Ce n’è abbastanza perché un critico spiritoso definisca il nuovo millennio cinematografico un “Willennio”.
Insomma, come diavolo ha fatto il Principe di Bel Air (il simpatico personaggio che interpretava nel serial tv che lo lanciò) a saltare sia di quartiere sia di categoria, diventando il re di Hollywood?
Il segreto, dicono gli amici, è nel cubo di Rubik che lui conserva come un feticcio sul tavolo del salotto della sua casa di Manhattan di fronte al fiume, fin dai tempi andati in cui era di moda. Ogni tanto lo guarda e ripete: “Lo so fare”. Quel test di destrezza è la metafora della sua carriera. Non ha smesso di smanettarlo finché non è riuscito a carpirne il segreto. E ogni tanto lo prende ancora in mano, per controllare di non esserselo scordato.
“Sono la persona più ossessiva che conosco” dice Smith, ed è evidente che per lui è una gran qualità. “Il successo lo cucina un cuoco che si chiama ossessione”.
C’è un aneddoto che ama proprio raccontare: “Mio padre mi ha insegnato a giocare a scacchi quando avevo 7 anni. Ed è difficile che qualcuno mi batta. Però sul set di Nemico pubblico un vecchietto c’è riuscito. Il giorno dopo ho cercato un maestro con cui mi sono allenato per 3 mesi consecutivi, in modo di potermi prendere la rivincita prima che la lavorazione del film fosse finita”. Will fa sua una vecchia battuta dei comici del burlesque: “Sono come un fiammifero. Mi si può fregare una volta sola”.
Questo suo complesso da primo della classe (ma lo psicoanalista di Woody Allen lo definirebbe delirio di onnipotenza) gli è scoppiato a 16 anni, dopo essere stato tradito dalla sua prima ragazza. “Scardinò il mio concetto di causa ed effetto, secondo cui se sei bravo non ti possono capitare brutte cose. Evidentemente se mi aveva tradito io non ero abbastanza per lei, e allora decisi che nella mia vita non sarebbe mai più successo che io non fossi abbastanza per qualcuno”.
Prima di diventare un divo delle sitcom tv faceva il rapper, e oggi i film non solo li interpreta, ma li sceglie e li produce. Ecco perché lo hanno definito “One man entertainment industry”.
Da suo padre, un commerciante di frigoriferi che lavorava 7 giorni a settimana, ha imparato l’applicazione feroce. Dalla madre, segretaria in una scuola, il valore della conoscenza: anche se lui non è mai andato al college, ha la casa piena di libri della serie “how to” (ossia, come fare a…), quei manuali all’americana che ti mettono velocemente in grado di affrontare ogni argomento e situazione. E oggi nelle conversazioni può far cadere l’aggettivo “metafisico” qua e una citazione di Carl Jung e di Joseph Campbell là.
Dopo i primi film di successo (Bad boys 1 e 2) decise che non voleva essere solo un attore bravo, ricco e famoso, voleva diventare il più versatile di tutti i tempi: “Il giorno che mi guarderò indietro non voglio vedere nessun fottuto attore con una gamma più vasta di interpretazioni”. Il suo modello del passato era Cary Grant, quello contemporaneo Tom Hanks, ma con in più l’optional dei film d’azione. Una volta si era messo al tavolino con una pila di Variety e aveva scoperto che, nella lista dei dieci maggiori incassi di tutti i tempi, dieci erano a base di effetti speciali; nove di effetti speciali e mostri o alieni; otto di effetti speciali, mostri o alieni e una storia d’amore. Ed è voluto diventare uno specialista di film di fantascienza.
Assicura di non avere mai giudicato un ruolo secondo il colore della pelle del protagonista. Insomma, non vuole fare i film che Denzel Washington non ha più tempo o età per fare. Nossignore, vuole invece che Tom Cruise o Brad Pitt si litighino i suoi scarti.
Guadagna dai 20 ai 25 milioni a film, ma quando c’è bisogno li reinveste senza problemi. è successo con Ali, la biografia di Mohammed Ali: per superare difficoltà produttive sia lui che il regista Michael Mann hanno versato il loro cachet nel film. E per La ricerca della felicità, un film su un senzatetto in cui nessuno credeva, non solo ha scelto contro il parere di tutti Gabriele Muccino come regista, ma si è accontentato di una percentuale minima (e per quei due film “problematici” ha ottenuto le sue due candidature all’Oscar). È un fautore della globalizzazione del cinema e promuove instancabilmente i suoi film all’estero. È appena stato in Oriente e in Giappone, quando si è accorto che un giornalista si era addormentato durante la sua conferenza stampa l’ha svegliato e ci si è fatto fotografare insieme.
Fra i suoi amici, due coppie potenti: Tom Cruise & Katie Holmes e David & Victoria Beckham. Ed è in odore di Scientology: “Sono cresciuto in un ambiente battista, ho frequentato la Chiesa cattolica, vivevo in una quartiere ebraico e mi sono preso una cotta per una ragazza musulmana. Cruise mi ha introdotto ai principi di Scientology e per me, che mi considero uno studioso delle religioni del mondo, è importante conoscere e capire tutto”.
In una vita lavorativa così piena, tutto il tempo libero lo dedica alla famiglia. È sposato da 10 anni con Jada Pinkett-Smith e tratta il matrimonio con l’attenzione di un produttore: il primo appuntamento con la futura moglie è stato nell’ufficio di un consulente matrimoniale. Non ha voluto alcun accordo prenuziale, per non partire con l’handicap.
Dice che il segreto è andare all’85 per cento d’accordo come vanno loro e lavorare quotidianamente sul restante 15 per cento. Primo comandamento: niente bugie né verità edulcorate. “Se dei pantaloni facessero sembrare che Jade ha il sedere grosso, è esattamente quello che le direi, senza giri di parole” assicura.
In I am legend, esordisce sua figlia Willow, 7 anni, dopo che il coprotagonista di La ricerca della felicità era stato suo figlio Jaden, 9 anni. Verso il lavoro, lo stesso di papà e mamma, hanno un approccio opposto: “Jaden cerca solo buone storie, non gli importa dei soldi, né che il film abbia successo commerciale. Willow vuole solo apparire in tv, percorrere il red carpet, essere intervistata e ricevere regali. È come avere nella stessa famiglia Johnny Depp e Paris Hilton”.

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