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mercoledì 30 gennaio 2008

Il caso della lesbica Pegah Emambakhsh: Il Governo Britannico ci spiega le sue verità.

(Miriam Bolaffi - Secondo protocollo) Ricorderete tutti la storia di Pegah Emambakhsh, la presunta lesbica iraniana la cui storia ha tenuto tutti con il fiato sospeso per diversi giorni lo scorso mese di agosto, quando la Gran Bretagna intendeva deportarla in Iran nonostante rischiasse la pena di morte per lapidazione.

Allora il web fu un’esplosione di solidarietà verso questa fragile donna iraniana. Ci furono petizioni, migliaia di mail furono spedite al Foreign Office, gruppi per la difesa dei diritti umani si mobilitarono in massa per far si che non venisse deportata. Persino il Governo italiano e molti politici si mossero, dando la disponibilità ad ospitare Pegah nel caso la Gran Bretagna avesse continuato con l’intenzione di deportarla.

Tutte queste pressioni portarono all’ultimo secondo alla momentanea scarcerazione di Pegah e di conseguenza allontanarono lo spettro della deportazione, questo in attesa che un tribunale rivedesse la sua posizione di “richiedente asilo” e soprattutto che rivedesse le motivazioni che la spingevano a tale richiesta.

Di Pegah non se ne è più parlato, forse anche per espresso volere della ragazza o delle autorità britanniche che in attesa di giudizio avrebbero preferito il silenzio sulla vicenda, questo fino a oggi, fino a quando cioè sono tornate alla ribalta voci non verificate riguardanti la deportazione di Pegah.

Allarmati da queste voci abbiamo chiesto, per correttezza e prima di tutti, informazioni all’associazione inglese che all’epoca si era interessata alla ragazza iraniana dando nel contempo, come allora, la nostra completa disponibilità nel caso queste voci fossero risultate vere. Dopo due settimane non è arrivata nessuna risposta se non qualche scaribarile in merito a chi fosse la persona che curava gli interessi di Pegah. Un vero mistero. Eppure crediamo fermamente che il bene di Pegah vada oltre qualsiasi protagonismo o interesse personale.

Partendo da questo presupposto ci siamo quindi attivati attraverso alcune conoscenze iraniane in Gran Bretagna e soprattutto attraverso un contatto diretto con il Foreign Office Britannico. Per la verità non ci aspettavamo alcuna risposta dai britannici, invece con nostro estremo stupore abbiamo trovato alcune persone molto collaborative che ci hanno spiegato con chiarezza l’attuale situazione di Pegah Emambakhsh.

Innanzi tutto va detto che la prima richiesta di asilo, basata esclusivamente sul fatto che la ragazza fosse omosessuale, era fondamentalmente sbagliata, non tanto per il fatto in se, quanto piuttosto perché la legge internazionale impone al richiedente asilo di dimostrare con chiarezza il motivo per cui detto asilo viene richiesto, cosa chiaramente impossibile nel caso di omosessualità in quanto, a meno che non si pretenda un rapporto sessuale pubblico, la condizione di omosessuale riguarda la sfera emotiva e personale.

Si è quindi tentato di far rientrare Pegah in un gruppo sociale perseguitato, ma continuando sempre a battere esclusivamente sulla presunta omosessualità della ragazza e quindi a rischio di persecuzione. Si sono quindi mobilitati i gruppi omosessuali di tutto il mondo, facendo di Pegah una vera e propria bandiera di una battaglia (anche politica) sui diritti degli omosessuali e non sui diritti di Pegah stessa o delle donne iraniane, escludendo dalla richiesta di asilo tutte le altre voci che invece le avrebbero garantito l’asilo.

Fermo restando il problema della “presunta” omosessualità della ragazza, è limpido che nel caso venisse deportata in Iran Pegah rischierebbe la vita, non solo perché ormai è “la lesbica iraniana” ma anche per tanti altri motivi che vanno dalla persecuzione religiosa alla discriminazione sessuale in quanto donna, fino al tradimento e chi più ne ha più ne metta. Di certo ai giudici iraniani non mancano gli argomenti per condannarla a morte.

Tuttavia rimane il problema della richiesta di asilo impostata esclusivamente sulla omosessualità di Pegah, richiesta che allo stato attuale non può essere accolta così com’è in quanto aprirebbe un caso di immensa portata sui richiedenti asilo e che comunque necessiterebbe di un apposito decreto che riconosca la “non dimostrabilità” della propria omosessualità Una cosa, questa, che potrebbe avere un rovescio della medaglia e aprire la strada della richiesta di asilo a chiunque si dichiari omosessuale pur non essendolo.

Chiarito questo aspetto fondamentale, non rimane altro che presentare la richiesta di asilo per Pegah sotto un’altra forma che non sia esclusivamente basata sulla presunta omosessualità della ragazza, ma soprattutto occorre mettere da parte gli interessi politici dei vari personaggi che ruotano attorno a questa vicenda i quali vorrebbero creare un precedente che, in questo momento, la Gran Bretagna non si può permettere. Insomma occorre mettere il bene di Pegah al di sopra di qualsiasi interesse politico o personale. Lo so che il caso può offrire una grande visibilità, ma cercare la notorietà a discapito della salvaguardia della vita di Pegah non è ammissibile. Prima deve venire il bene e il diritto di Pegah, se poi ne avanza chi vuole potrà attribuirsi i meriti che ritiene e farsi bello di fronte al mondo, ma non prima e non a discapito delle possibilità “reali” che Pegah ha di rimanere in Gran Bretagna.

Per la cronaca, l’avvocato che segue la vicenda sta preparando una richiesta di asilo basata anche su altre argomentazioni che permettano al Governo britannico di accettarla senza necessariamente creare un precedente pericoloso. In ogni caso (anche in quello in cui le venga rifiutato l’asilo) Pegah non verrebbe deportata in Iran ma verrebbe espulsa verso un qualsiasi paese disposto a ospitarla, tra i quali ricordiamo c’è l’Italia. Non verrebbe nemmeno accettata una eventuale richiesta di estradizione fatta dall’Iran essendoci in Europa il divieto di estradare qualsiasi persona verso paesi dove la persona estradata sia a rischio di condanna capitale o disumana.

Concludo ribadendo la necessità di rimanere vigili ma senza falsi allarmismi e soprattutto senza campagne medianiche mirate a ottenere un ritorno di immagine o politico a discapito della salute, già fragile, di Pegah Emambakhsk.

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