(Paolo Manzo e Gian Antonio Orighi) Coppie di fatto in Uruguay. Pillola del giorno dopo in Cile. Aborto libero nelle prime 12 settimane e pacs in Messico. E un minimo comun denominatore: lo scontro con la Chiesa, che difende la famiglia eterosessuale e il no all’interruzione volontaria della gravidanza. L’onda lunga, partita nel 2005 dalla Spagna del leader socialista José Luis Rodríguez Zapatero con la legge sulle nozze gay, ha attraversato l’Atlantico dilagando nella cattolica America Latina.
«Diversi vescovi latinoamericani mi hanno parlato dell’influenza delle proposte legislative della Spagna, chiaro punto di riferimento culturale» assicura a Panorama don Manuel Bru, 43 anni, direttore dei programmi religiosi della radio della Conferenza episcopale spagnola. «C’è coincidenza ideologica con progetti politici laicisti che vogliono mettere la Chiesa in un angolo».
Non a caso nel 2005 Zapatero venne premiato come «uomo dell’anno» dai gay brasiliani. E il premier bollato dal Vaticano come il «padre di tutti i relativismi morali» spedì il suo ambasciatore a ritirarlo. D’altronde, la zapaterizzazione del Sud America, dove governano (tranne che in Colombia, Messico e Paraguay) governi orientati a sinistra, è vantata da potenti ong come la Rete di lesbiche, gay, omosessuali e transessuali (Lgbt) del Mercosur. In un comunicato del 31 novembre, l’ong rivela: «Dovevamo cercare appoggio di paesi avanzati. E subito abbiamo ricevuto l’aiuto della Fundación Triángulo, finanziata dall’Agenzia spagnola di cooperazione internazionale» (braccio del ministero degli Esteri di Madrid).
Avanguardia del fronte laico è l’Uruguay, guidato da una coalizione dove il partito più forte è quello degli ex guerriglieri tupamaros. La camera di Montevideo ha approvato la prima legge nazionale sulle coppie di fatto del Cono Sud, la «unión concubinaria» (i pacs esistono, solo localmente, a Buenos Aires, Rio de Janeiro e San Paolo). «I concubini e le concubine, etero o omosessuali, godranno di tutti i diritti dei matrimoni eterosessuali su pensioni, eredità, beni comuni» precisa il deputato Edgardo Ortuño. L’unión concubinaria deve solo passare il vaglio (scontato) del senato, previsto per il 15 dicembre. E, mentre la Chiesa insorge, si avvicina il raddoppio: il senato ha già dato luce verde a una legge che prevede l’aborto libero nelle prime 12 settimane.
Anche lo stato di Città del Messico, governato dal progressista Partido de la revolución democrática, fa da battistrada per leggi innovative. Il 5 dicembre il parlamento ha approvato quella sull’ortotanasia, un provvedimento per malati terminali che vuole evitare, se questi sono d’accordo, l’accanimento terapeutico. Procedura, peraltro, già approvata dalla Conferenza episcopale brasiliana. Molto più controversi altri provvedimenti, come la legge che l’anno scorso ha dato alle coppie di fatto gli stessi diritti su eredità e pensione delle coppie sposate, pur non contemplando le adozioni. O la legge sull’aborto libero nelle prime 12 settimane, approvata ad aprile.
Il terzo polo della secolarizzazione è il Cile del presidente socialista Michelle Bachelet, che ha sempre considerato Zapatero «un modello da imitare per le sue politiche di eguaglianza». In America Latina l’aborto è libero solo a Cuba e Porto Rico; Bachelet ha trovato un escamotage per saltare la proibizione all’aborto terapeutico decisa dall’ex dittatore Augusto Pinochet nel 1989. Con un decreto presidenziale, a ottobre ha permesso la vendita della pillola del giorno dopo alle minori di 14 anni. Apriti cielo: i farmacisti cattolici hanno invocato l’obiezione di coscienza. E il governo ha risposto imponendo multe pari a 42 mila euro a chi si rifiuta di venderla.
In Colombia, paese guidato dal conservatore (e antiabortista) Alvaro Uribe, la corte costituzionale ha depenalizzato l’interruzione della gravidanza in caso di violenza sessuale, rischio di vita della madre e malformazione del feto. A differenza del Nicaragua sandinista, che ha appena approvato la legge più proibizionista al mondo.
Lo schieramento politico c’entra poco con le tematiche etiche. Contano molto di più le pressioni della Chiesa. In Argentina la neoeletta Cristina Kirchner, progressista, si è subito dichiarata «da sempre contraria all’aborto» e ha bloccato ogni progetto di depenalizzazione. Obiettivo: appianare le divergenze con la Chiesa cattolica causate dal marito, in vista della visita del Papa auspicata nel 2008. Anche Michelle Bachelet ha rassicurato il Papa, durante la sua visita in Italia, dicendo di non avere in programma progetti di legge per la legalizzazione dell’aborto. E nel Brasile di Luiz Inácio Lula da Silva la legge sulla liberalizzazione dell’aborto è bloccata dopo la visita di Benedetto XVI, lo scorso maggio.
Di più: nell’Uruguay dei tupamaros il presidente ha detto che metterà il veto sulla nuova legge sull’interruzione di gravidanza perché contraria al suo modo di pensare. E anche il presidente dell’Ecuador, Rafael Correa (vicino a Hugo Chávez), ha dichiarato di non essere d’accordo con la nuova legge sull’aborto.
«La Chiesa fa sentire la sua voce affinché non si perda il senso etico della cosa pubblica» dichiara a Panorama il cardinale Odilo Scherer, arcivescovo di San Paolo. «In Brasile aiutiamo il governo a non perdere di vista la sua missione». Parole tutt’altro che controcorrente. «In America Latina la stragrande maggioranza della popolazione, anche quella politicamente progressista, è molto conservatrice sulle questioni etiche» spiega il vaticanista brasiliano Luiz Antonio Magalhães. «Se i politici di sinistra decidessero di aprire su questi temi, più che per l’intervento della Chiesa rischierebbero di essere penalizzati dal loro stesso elettorato».
Ma, seppure a fatica, l’onda lunga di Zapatero avanza. «Dopo di noi verranno molti altri paesi spinti da due forze ineguagliabili, la libertà e l’uguaglianza» avvertiva profetico Zapatero dopo aver approvato le nozze gay. E il XVII vertice iberoamericano di Santiago del Cile ha dichiarato il 2008 «anno contro tutte le forme di discriminazioni». Cioè l’anticamera di nuove leggi pro gay. Sphere: Related Content
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