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domenica 30 dicembre 2007

Elezioni Usa: Casa Bianca a sorpresa.

(Marco De Martino - Panorama) Tutte le strade portano alla Casa Bianca, anche quelle che passano per la Cina, dove ha appena fatto tappa Michael Bloomberg. Mentre Rudolph Giuliani in New Hampshire lanciava il suo ultimo spot contro l’immigrazione clandestina, il sindaco di New York era a Shanghai a elogiare il contributo dei lavoratori cinesi all’economia globale. E nelle stesse ore in cui, pochi giorni dopo, Hillary Clinton era impegnata nell’ennesima cena di sostegno alla campagna in California, Bloomberg era a Bali a discutere di cambiamenti del clima.

Prima ancora, il sindaco di New York era andato in Messico, Gran Bretagna, Francia. Sempre accanto a lui Kevin Sheekey, il suo consigliere politico, del cui gruppo fanno parte specialisti pronti a inserire il nome del sindaco sulle schede elettorali di 50 stati americani.
I suoi confidenti dicono che, vedendo candidati rissosi e senza grandi qualità, Bloomberg si senta sempre di più l’uomo del destino. Moderato, centrista e pragmatico, lo scorso giugno ha lasciato il Partito repubblicano, nelle cui file era stato eletto sindaco dopo una vita passata a votare democratico. “Bloomberg è convinto che l’America abbia bisogno di uno come lui e le sfide lo affascinano: sarebbe un grande presidente” dice a Panorama Mitchell Moss, docente della New York University, che è stato un consigliere del sindaco.
Bloomberg prenderà una decisione subito dopo il 4 marzo, data del voto nelle primarie del Texas, quando secondo molti si sapranno i nomi dei candidati in corsa. E la discesa in campo dell’imprenditore che per diventare sindaco spese 161 milioni di dollari, e che per la presidenza ha pronto un budget da 1 miliardo, potrebbe essere la maggiore sorpresa in preparazione della più aperta campagna presidenziale americana a memoria d’uomo.
“È come se fossimo in un’atmosfera prerivoluzionaria: chiunque è in vantaggio rischia di essere travolto da elettori arrabbiati, non solo con il presidente ma anche con il Congresso e i propri partiti” spiega a Panorama il politologo James Zogby, la cui agenzia di sondaggi misura il polso all’opinione pubblica americana. “E la lunghezza delle campagne dà tempo alla gente di stufarsi dei candidati”.
Le sorprese fanno parte della politica americana da sempre. Nel 2004, a questo punto delle primarie democratiche, tutti davano per vincitore Howard Dean. E quando vinse John Kerry venne coniato lo slogan: “Fidanzato con Dean, sposato con Kerry”. Ma quest’anno le fidanzate che gli americani sembrano volere mollare sono molte di più.
A rischio è Hillary Clinton, che pure riteneva la sua candidatura inevitabile e che potrebbe perdere tutti e quattro i primi appuntamenti elettorali: in Iowa, New Hampshire, Nevada e South Carolina. Lo stesso rischia Giuliani, che teme di non vincere nulla sino all’appuntamento in Florida del 29 gennaio.
Pure i candidati che ora sembrano in ascesa potrebbero rivelarsi l’infatuazione di una stagione. Mike Huckabee, l’ex pastore battista che al ritmo della sua chitarra rock fa campagna tra i repubblicani nel religiosissimo Iowa, sta rivelando i suoi limiti soprattutto in politica estera. Lo stesso si può dire di Mitt Romney, che guida il partito dell’elefante in New Hampshire: oltre alla fede mormona deve scontare i suoi cambiamenti di rotta sull’aborto. O del democratico Barack Obama, che da sempre è gravato dalla sua inesperienza, ed è emerso nei sondaggi solo dopo che Hillary Clinton ha cominciato ad attaccarlo ingiustamente.
“I candidati la cui personalità piace agli elettori hanno seri problemi di inesperienza, quelli che appaiono competenti soffrono di problemi di antipatia” riassume Larry Sabato, professore all’Università della Virginia. Altri parlano apertamente di fattore Sob, che sta per ’son of a bitch’, ovvero figlio di… È una sindrome di cui soffrono in particolare Hillary, che nei sondaggi emerge regolarmente come il candidato più detestato (pensa male di lei il 49 per cento degli americani), e Giuliani, che detiene questo record fra i repubblicani (38 per cento la sua percentuale di negatività).

A Hillary gli elettori imputano freddezza e arroganza: “È ovvio che vincerò” ha detto quando le hanno chiesto se avrebbe sofferto in caso di sconfitta. Giuliani ha problemi anche più grossi: due figli che non gli parlano più, tre matrimoni, una personalità napoleonica e una serie di scandali che non finisce mai. “Ineleggibile” lo ha giudicato Charlie Cook, che compila per il National Journal l’autorevole Cook report.
Ovviamente non è vero: gli americani hanno portato alla Casa Bianca personalità anche più problematiche, per esempio Richard Nixon. Ma piano piano stanno cominciando a cadere le ragioni legate alla sicurezza nazionale che rendono più sopportabili gli antipatici. “Più la guerra in Iraq va meglio, meno si sente la necessità di avere alla Casa Bianca un duro” spiega Sabato.
In effetti tra giugno e novembre la percentuale di americani che citano l’Iraq tra le loro preoccupazioni è scesa secondo un sondaggio del Wall Street Journal di 8 punti percentuali. E tra le principali vittime del successo della strategia di George Bush e David Petraeus a Baghdad ci sono proprio i politici la cui nomination appariva scontata. Giuliani, il quale aveva scommesso che la sua fama di sindaco dell’11 settembre avrebbe fatto dimenticare agli elettori repubblicani le sue posizioni sull’aborto e sui diritti dei gay. E Hillary, che negli anni da senatore aveva metodicamente coltivato l’immagine di falco in politica estera.


A rendere il pronostico elettorale ancora più difficile sono i cambiamenti di opinione di un elettorato sempre meno fedele. Prime a tradire Hillary sono state le donne, che alla sua immagine quasi thatcheriana sembrano ora preferire l’approccio autobiografico di Obama, che non si stanca di ripetere: “So cosa significa essere cresciuto da una donna costretta a tirare da sola la carretta, senza alcun aiuto dal marito”.
Anche gli afroamericani, che pure considerano Bill Clinton il primo presidente “nero” della storia, si stanno riallineando dietro Obama. A convincerli è la sua ascesa in Iowa e New Hampshire tra i bianchi: proprio loro sono i primi a temere che gli Stati Uniti non siano pronti a un presidente nero.
È possibile che Hillary e Giuliani ce la facciano comunque: dopotutto nei sondaggi nazionali (che secondo gli esperti contano poco) i due sono ancora in vantaggio. Ma anche se ciò accadesse, i problemi non sarebbero certo finiti. Soprattutto per Giuliani, il candidato più distante dagli elettori evangelici che hanno minacciato, in caso di una sua nomination, di presentarsi con un terzo partito.
“Non credo che arriveranno a una misura tanto drastica, ma certamente molti non andranno a votare, come hanno già fatto in passato” è la previsione di Michael Lindsay, sociologo della Rice University e autore del saggio sulla crescita degli evangelici La fede nelle stanze del potere.
Secondo Lindsay, anche Romney avrebbe lo stesso problema. “Per loro l’unica sarebbe scegliere al più presto un vicepresidente evangelico come Huckabee. Anche in questo caso però è molto probabile che ci sia una emorragia di voti, anche verso i democratici”.
La nomination di personalità polarizzanti come Hillary e Giuliani renderà più probabile la candidatura di un indipendente. Ci pensa Ralph Nader, che già rovinò la festa di Al Gore nel 2000. E potrebbe essere tentato Lou Dobbs, l’anchorman della Cnn che ha fatto della guerra contro l’immigrazione clandestina la sua bandiera.
Ma soprattutto la nomination di Hillary e Rudy porterebbe Bloomberg a scendere in campo, mentre una sua candidatura sarebbe meno probabile se prevalessero candidati più propensi alla riconciliazione nazionale come Romney e Obama.
Nel 1992 il miliardario Perot prese quasi il 19 per cento dei voti, Michael Bloomberg potrebbe andare ben oltre. «Più l’economia diventa il tema dominante della campagna, più la corsa si apre» spiega il suo amico Mitchell Moss. “Però se il sindaco scenderà in campo sarà solo perché è sicuro di vincere”.

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