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domenica 30 dicembre 2007

Dal nostro inviato a Londra: Rent VS Rent.

(Musicalgab) Da un grande fan di Rent, una recensione sull'ultima versione revival di Londra del musical di Jonathan Larson.
Il nostro amico Enrico Zuddas scrive la sua su questa versione "remixed" tanto "contestata" dai fan storici del musical da una parte e amata dai neofiti del genere dall'altra...
Pare però che Rent remixato o meno ancora una volta non abbia conquistato il cuore del pubblico del west end: il revival infatti chiuderà i battenti prima del previsto portandosi a casa critiche non molto lusinghiere...

Noi intanto andiamo a leggerci i pareri del nostro inviato da Londra...

Conosco bene RENT. Ho visto tutti i cast italiani che si sono avvicendati negli anni, ho amato il film, la scorsa estate ho anche organizzato una Masterclass con Francesca Taverni sul tema. Ma allo stesso tempo aver visto questo spettacolo a New York al Nederlander Theatre è stato come scoprirlo per la prima volta. È come pranzare a casa dopo aver mangiato in ristorante: alcuni piatti scontati assumono un sapore diverso, tutto è familiare e vero. Oltretutto, la performance del 4 novembre scorso cadeva in un momento particolarmente sentito dell’anno, ovvero durante la settimana che l’organizzazione Braodway Cares dedica alla lotta contro l’Aids.
Non credo che ci siano commenti che non siano già stati scritti o letti. Posso dire che la coppia Declan Bennett-Harley Jay (Roger e Mark) risulta molto equilibrata; la biondissima Nicolette Hart è una tenace Maureen; nella parte di Mimi, Tamyra Gray, una reduce della prima edizione di American Idol.
Per cui è strano il confronto diretto con la versione “remix”, cui ho assistito il 7 dicembre a Londra e in questi giorni ancora per poco in scena (la chiusura è stata anticipata visto lo scarso successo). Carla, la mia compagna di avventure teatrali, neofita di Rent, è uscita emozionatissima. Pare che questo accada a tutti coloro che non conoscono la versione originale. Con qualche sforzo anch’io sono riuscito a sentire le giuste vibrazioni, soprattutto nel secondo atto (ma chi potrebbe restare indifferente di fronte a I’ll cover you reprise?). Però molte sono le domande che restano senza risposta.
Questo nuovo Rent è inteso per avvicinare un pubblico nuovo e giovane allo spettacolo; dietro il progetto si cela il creative team che segue Kylie Minogue, capitanato dal regista William Baker. Per questo pubblico giovane è stato prevista una nuova strategia nella vendita dei biglietti, con posti non assegnati (con il risultato però che le prime file sono spesso vuote, perché alla fine tutti questi giovani adoranti non ci sono). Per i giovani è stato pensato anche un approccio un po’ più concertistico e pop, con la presentazione in un prologo-medley di tutti i pezzi all’inizio (in genere, se escludiamo le overtures, noi il megamix lo ascoltiamo più volentieri alla fine!).
E allora partiamo dalla musica: alcuni arrangiamenti sono interessanti, particolari, funzionanti. Per esempio Out tonight che diventa una sorta di sensualissima Fever, oppure What you own che diventa una ballad acustica per il solo Mark. Seasons of love è inserito in modo abbastanza riuscito con brevi frammenti nel plot. Altri pezzi perdono invece tutta la loro forza: primo fra tutti Take me or leave me, che riarrangiato in forma dance proprio non funziona. La superstar Denise Van Outen fa di Mauren una superstar strafiga, al punto che è stata paragonata da molti a Madonna. La sua performance di Over the moon, cui nulla resta del tocco underground dell’originale, è comunque un’efficace apertura del secondo atto; il pubblico continua a muggire e lei oltretutto flirta con una ragazza della prima fila. L’unico difetto è che la Van Outen risulta un po’ troppo vecchia e un po’ troppo diva rispetto al resto del cast, facendo poco gruppo con gli altri.
L’ambientazione è stata privata di gran parte della cultura e dell’atmosfera newyorkese; gli attori anzi recitano con uno spiccato accento inglese. La personalità di Mark ben si adatta al British way of life, i suoi modi sono convincenti, forse grazie anche all’eccellente interpretazione di Oliver Thornton. Certo molto più difficile risulta ricodificare Angel, che richiama un modello gay londinese, molto pieno di stile e di fashion, lontano dalla spontaneità dell’Angel che tutti conosciamo; mi chiedo fino a che punto lo spirito ne sia stato tradito. La mescolanza di caratteri americani e anglosassoni non è ben riuscita, o per lo meno non è condotta fino in fondo e con coerenza. Certamente i puristi non riusciranno ad accettare la nuova ambientazione in un loft tutto bianco, con un raffinato divano e una stilizzata porta con luce al neon. Molto efficace invece una scritta luminosa che, in una sorta di conto alla rovescia, sottolinea il passare del tempo, con i famosi “five hundred twenty five thousand six hundred minutes”, e che durante il Life Support ricorda i nomi di tanti artisti morti di Aids, da Rock Hudson a Freddy Mercury. Ma alcuni accorgimenti lasciano molto perplessi, per esempio l’uscita di Angel da una scala in cielo “à la” Grizabella, o anche l’anticipazione della canzone di Collins rispetto agli altri monologhi del funerale (con conseguente perdita dell’effetto climax). Resta comunque valida e interessante l’idea di fare uscire Rent dalla sua connotazione geografica e cronologica, per mostrarne l’universalità del messaggio; con i grandi capolavori del resto il cinema e il teatro lo fanno sempre; ci si può chiedere forse se il momento non sia prematuro, con l’originale ancora in scena, e se l’operazione non sia stata condizionata da qualche interesse commerciale di troppo. A pensarci bene, a volte è un peccato che un musical suoni sempre uguale, in modo “globalizzato”, in qualunque parte del mondo tu sia (tranne che in Italia, dove in genere suona male o non suona!); ben venga dunque l’innovazione, per non impigrire le nostre orecchie e le nostre teste, purché non sia gratuita e fine a se stessa.

Enrico Zuddas

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