Salim Kechiouche.
Ad Hammamet l´attrice gira un piccolo film a basso budget, opera prima di un giovane regista tunisino su una madre e il figlio omosessuale.
Dopo quattordici anni Cardinale torna a girare in Tunisia. Il suo debutto nel cinema fu qui nel ´56 ("Goha" di Jacques Baratier prodotto dal governo tunisino), e nel ´94 girò "Un´estate alla Goulette" di un giovane regista tunisino, Ferid Boughedir.
(Laura Putti - La Repubblica) In una meravigliosa villa sulla spiaggia di Hammamet, Claudia Cardinale gira un film tunisino. Un piccolo film: il budget arriva a malapena a 700 mila euro. Un grande film: il soggetto è uno dei più vietati nel mondo arabo. Le fil, opera prima di Mehdi Ben Attia, è un film sulla libertà di vivere l´omosessualità. Il filo del titolo è quello che lega il protagonista a sua madre e a un certo tipo di condizionamenti sociali. Nonostante il luogo delle riprese e la nazionalità del regista (residente da anni a Parigi), della troupe, del produttore e degli attori, il film non ha connotazioni esclusivamente tunisine. La storia potrebbe accadere ovunque. È quella di Malik (Antonin Stahly, musicista e liutaio, attore a 10 anni per il "Mahabaratha" di Peter Brook) che, tornato a Tunisi dopo aver vissuto a Parigi, s´innamora di Bilal (l´algerino Salim Kechiouche, unico attore magrebino a non temere il ruolo di un gay). Non siamo, però, dalle parti di "Cus-cus". Malik non è un povero emigrante di ritorno al paese: appartiene all´alta borghesia tunisina, laureato in architettura a Parigi, ha deciso che la sua casa è quella dove è nato. Sara, la madre, l´accoglie a braccia aperte nella villa di famiglia circondata da un grande giardino che lambisce il mare. Anche lei dovrà fare i conti con la "diversità" di Malik. Sullo sfondo della villa, la medina di Hammamet con le sue mura che al tramonto si tingono di rosa.
Claudia Cardinale è raggiante come può esserlo una fille du pays che, anche lei, torna a casa. Ma sarà proprio il suo personaggio, la madre, l´ostacolo più grande all´"outing" di Malik. Scena dopo scena Sara aprirà gli occhi alla realtà, fino a comprendere le scelte del figlio, lungo un doloroso percorso che la porterà, dapprima, ad analizzare il suo matrimonio scandaloso per l´epoca (una ragazza francese con un uomo tunisino negli anni 60) e, in seguito, quelli che le sembreranno i suoi errori. Quando arriviamo sul set Claudia Cardinale-Sara sta parlando con il fantasma del marito Abdelaziz, padre di Malik (Lotfi Dziri), morto da tempo. Lui le appare e le conferma quello che ha appena scoperto. Lei piange. «Ti stava sempre in mezzo alle gonne. Come hai fatto a non capirlo? Non è la fine del mondo. Gli piacciono gli uomini? Non sarà il primo né l´ultimo» dice il marito. «Allora è colpa mia» dice Sara tra i singhiozzi.
Pensa anche lei, signora, che avere un figlio omosessuale sia una colpa?
«Dal 2000, come ambasciatrice dell´Unesco difendo i diritti di tutti. Soprattutto quelli delle donne. Mi sono battuta, ho lottato per tante donne, da Amina in poi. Da oltre dieci anni mi occupo di Aids. Figuriamoci se ho problemi con gli omosessuali. Ho avuto grandi amici omosessuali che mi hanno voluto molto bene. Primo fra tutti Luchino Visconti. Ero una ragazzina, avevo appena lasciato casa, la Tunisia, e nel ´63 ho girato "Il gattopardo". Ho accompagnato Luchino in molte occasioni, che bei viaggi ho fatto con lui. Era facile a vivere, colto, affascinante. Parlavamo in francese».
Tornando a Sara…
«All´inizio è devastata dalla scoperta. Ma anche lei, francese, borghese, cattolica, ha fatto la sua rivoluzione: ha sposato un arabo negli anni 60. Nel film racconta il matrimonio al figlio Malik e a Bilal, che è il suo compagno: "Gli uomini erano da una parte, le donne dall´altra. Le donne mi guardavano e mi sono sentita un pezzo di carne. Mi sono alzata, sono andata a sedermi sulle ginocchia di mio marito e l´ho baciato. I vecchi sono usciti dalla sala". Alla fine, però, Sara difenderà Malik e Bilal. Loro se ne vogliono andare, lei li trattiene. Li accetta, li difende».
Che effetto le fa lavorare nel suo paese?
«Ogni volta è un ritorno a casa. Qui siamo nati io e i miei fratelli: Blanche, Bruno e Adrien; qui ho studiato, ho vinto un premio che mi ha portato come spettatrice alla Mostra del Cinema a Venezia e qui ho iniziato la mia carriera di attrice. Qui è emigrato mio nonno dalla Sicilia e qui sono nati i miei genitori. Mio nonno fabbricava barche. Poco tempo fa un signore si è avvicinato a me e a mio fratello con una pietra in mano. "È quel che resta del cantiere di vostro nonno" ci ha detto. Siamo scoppiati a piangere come bambini».
Mentre leggeva la sceneggiatura non ha pensato che sarebbe stato difficile girare un film del genere in Tunisia?
«Leggendo il copione non pensavo al dopo. Mi ci sono perduta. Era talmente ben scritto. Poi ho incontrato Mehdi Ben Attia e mi è piaciuto molto. Ma ho anche scoperto che budget aveva e con quanta fatica lo aveva messo insieme. Ho pensato che Pasquale (Squitieri, suo compagno da oltre 30 anni, ndr) nel ´70 ha fatto "Io e Dio", il suo primo film, grazie ai soldi di De Sica che per lui aveva impegnato al Monte i gioielli di sua moglie. Allora ho accettato. Siamo tutti pagati pochissimo. Gli abiti, le borse, le scarpe, i gioielli che indosso nel film sono tutti miei. Vesto Armani da vent´anni, a Mehdi è andata bene!».
È vero che il governo tunisino ha concesso il permesso di girare un film con un argomento così tabù solo perché lei è tra i protagonisti?
«Così sostengono il regista e il produttore».
Un argomento difficile e un film di un esordiente: ci vuole coraggio...
«È così divertente avere accanto Malik e Bilal che ci vorrebbe coraggio a non lavorare con loro. Ho girato talmente tanto, niente nel cinema mi fa più paura. Da piccola ero un maschiaccio e quel coraggio, da adulta, l´ho conservato. Visconti diceva: "Claudia sembra una gatta da accarezzare; in realtà è una tigre che divora i suoi domatori"».
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