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venerdì 22 agosto 2008

"Checca guarda come cammini" Botte e maltrattamenti a Genova da poliziotti.

Un trentenne accusa la polizia ferroviaria e la questura: "Mi hanno preso le impronte digitali".

(Andrea Milluzzi - Liberazione) "Guarda come cammini, ricchione"; "Sbirri di merda" e inizia l'inseguimento. Non è il copione di un film, è la storia che Nicola (il nome è di fantasia, Ndr) si è deciso a raccontare a Liberazione tre mesi dopo averla vissuta in prima persona. E' il 28 maggio 2008, Nicola sta aspettando un treno alla stazione di Genova Piazza Principe quando avviene questo scambio di battute con i due agenti della Polfer. Dopo le offese, Nicola inizia a correre e esce dalla stazione, mettendo un po' di metri fra lui e gli agenti. A quel punto loro fanno una telefonata e da una macchina ferma là davanti esce una persona che blocca Nicola permettendo agli agenti di raggiungerlo. Subito dopo Nicola si è trovato con la faccia al muro, picchiato alle spalle sempre al grido di "frocio, sei sieropositivo, fatti curare". La tappa al pronto soccorso del Galliera è obbligata. Arrivato sanguinante in ambulanza, a Nicola viene assegnato un codice verde e cinque giorni (diventati 10 dopo la visita del medico di famiglia) di prognosi per «trauma escoriato al cuoio capelluto, soffusioni cutanee al collo e un'escoriazione alla spalla destra». Tradotto: botte in testa, sulle spalle e una presa energica al collo da dietro.

Uscito dall'ospedale, Nicola si reca alla questura per denunciare quanto avvenuto, ma anche là la musica non cambia di molto. Ripartono le offese e Nicola viene portato in una cella della questura accanto ad un'altra dove è rinchiuso un nomade. Passa un po' di tempo e arrivano i due agenti della Ferroviaria accusati dell'aggressione, Nicola li riconosce, ma nessuno dei presenti gli dà ascolto. Dopo un'altra serie di "frocio" e "sieropositivo", Nicola passa nella cella del nomade («dove il puzzo di piscio era insopportabile» racconta) e chiede i nomi dei vari agenti con la minaccia di denunciarli. Non riceve - ovviamente - risposta finché gli dicono di alzarsi per andare da un legale. La destinazione non è però un ufficio, bensì la polizia scientifica dove a Nicola vengono fatte le foto, prese le generalità e pure le impronte digitali («che quindi non è un trattamento riservato solo agli immigrati» sottolinea). Il tutto finisce in un database, ma non dà origine ad alcuna denuncia nei confronti di Nicola. Una raccolta dati pro forma, insomma.

Nicola viene dalla Calabria, riconosce dall'accento che uno degli agenti è suo conterraneo. Ne approfitta per prendere qualche informazione e riceve un consiglio: «Non denunciare nulla, potresti rovinare le famiglie di questi agenti». Nicola allora fa passare un po' di tempo e alla fine si decide a sporgere denuncia presso la Procura di Genova. E' il 26 giugno scorso, e da allora non ha ricevuto più notizie. Ha quindi deciso di rendere pubblica la storia, «perché sono una persona civil e non mi va di vivere in un Paese razzista e intollerante».

C'è dunque da aspettarsi che la Procura del capoluogo ligure stia facendo gli accertamenti del caso per accertare quanto successo. I telefoni degli uffici giudiziari squillano a vuoto, trovandoci in un pomeriggio di pieno agosto, ma la speranza è che venga fatta luce su quanto accaduto precisamente in quel 28 maggio scorso in una città che ultimamente sta guadagnandosi gli onori della cronaca soprattutto per episodi di violenza e intolleranza. D'altronde non è che i diretti interessati aiutino a fugare eventuali dubbi. Raggiunti telefonicamente gli uffici della Polfer, tutto quello che otteniamo è una sorta di intimidazione: «Lei non deve scrivere e non capisco la sua insistenza. La farò parlare con i miei superiori, se vorranno. Ma non ho una posizione ufficiale per lei» è la risposta che otteniamo. Fatto notare che fare domande è il nostro lavoro, ci viene risposto che «le carte su quanto accaduto ci sono arrivate stamattina e non è andata per niente come racconta il ragazzo,ci sono testimoni oculari a conferma». Ma come è andata non è dato saperlo.

Nicola ha 30 anni, viene da un paesino calabrese, e a Genova si è pure iscritto a Rifondazione comunista. Si trasferisce a Genova nel 1999 per studiare a giurisprudenza grazie al sostegno economico del padre. Un sostegno che adesso non gli permette di pagarsi un avvocato, tanto che la denuncia alla Procura l'ha scritta da solo. Quel giorno era alla stazione di Genova per andare a Imperia a parlare con la sua professoressa di francese. A Imperia però, il 28 maggio non ci è mai arrivato. «Non sono gay, non ho precedenti né penali né civili, non capisco perché si siano accaniti contro di me. Al mio piccolo paese, dove la mentalità è pure più "conservatrice" di quella che ho trovato in città non mi è mai successo niente. Da quando sono a Genova mi è successo di tutto» racconta Nicola. Gay o presunti tali, extracomunitari o presunti tali: sembra che la nuova Italia targata Lega e militari nessuno si possa sentire più al sicuro. A Roma hanno portato in caserma due ragazze peruviane hanno passato una notte in cella perché gli agenti le avevano scambiate per prostitute (sugli scalini di Santa Maria della Vittoria!), adesso la storia di Nicola. E chissà quante altre ce ne sono che non vengono denunciate per paura. «Ma io non ho interesse a vivere in un Paese così» dice ora Nicola. Qualcuno ci dica che non sarà questa l'Italia del futuro.

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