(Laura Eduati - Liberazione) Spagna, anche i conservatori chiudono ai vescovi
Una mossa a sorpresa che non mancherà di amareggiare i vescovi spagnoli all’indomani della massiccia manifestazione organizzata a Madrid in favore della famiglia tradizionale (eterosessuale) e contro le misure del governo socialista sul divorzio-rapido, i matrimoni gay e l’aborto. Il leader del Partido Popular Mariano Rajoy (nella foto), l’avversario di Zapatero alle elezioni generali del prossimo 9 marzo, ha dichiarato che in caso di vittoria lascerà intatta la legge sulle nozze omosessuali né toccherà la normativa sulle interruzioni di gravidanza (inalterata dal 1985) e sul divorzio express.
Il candidato conservatore, che già aveva perso contro Zapatero nel 2004, si ripresenta con un profilo decisamente “light” sulle questioni eticamente sensibili, tanto care al Vaticano. E preferisce attendere il responso dei giudici del Tribunale costituzionale al ricorso presentato dallo stesso Partido Popular contro le unioni tra persone dello stesso sesso: il partito che fu di Aznar chiede che questo tipo di unioni non vengano chiamate “matrimonio”, lasciando che l’etichetta sia utilizzata soltanto per le coppie eterosessuali. Se il tribunale darà torto Rajoy, non ci sarà motivo per i conservatori di abrogare una legge che dal 2005 ha sposato circa 8mila coppie gay.
Nessun cambio di marcia: semplicemente lo scontro elettorale non si basa sui diritti civili, entrati prepotentemente nell’agenda politica soltanto dopo la manifestazione dei cattolici a Madrid il 30 dicembre.
Pur essendo cattolico praticante e a favore delle politiche per la famiglia - tanto da aver promesso un ministero della Famiglia e importanti concessioni economiche ai nuclei famigliari - Rajoy decise di non partecipare alla mobilitazione. Invano, per il momento, la piattaforma ultracattolica Hazteoir , attivissima nel web, spedisce migliaia di e.mail al candidato del Pp chiedendo l’abrogazione del matrimonio omosessuale in cambio del voto.
Nel sito del Partido Popular, colorato di un blu puffo e ricco di pulsanti fosforescenti come un cartone animato, le promesse della campagna elettorale sono ben altre: alzare le pensioni, abbassare le tasse e modificare la legge sull’immigrazione per impedire l’arrivo dei clandestini. Di aborto o di divorzio nemmeno l’ombra.
I conservatori hanno capito che a nulla vale combattere Zapatero sul terreno dei diritti civili, con il rischio di un clamoroso autogol. Molto più efficace, invece, colpire il premier socialista sul vero, grande fallimento dell’intera legislazione: la fine del dialogo con l’Eta e la ripresa della violenza basca. Oppure sulla concessione delle ampie autonomie al governo regionale della Catalunya, vero grattacapo per i nazionalisti che vogliono una Spagna unita sotto la monarchia.
E dopo Zapatero, tocca alla battagliera vicepresidenta Marìa Teresa Fernàndez de la Vega rimandare al mittente le accuse dei vescovi: questa società, ha dichiarato ieri al Congreso durante una audizione, «non ha bisogno di tutele morali, e nemmeno ne ha bisogno il suo governo». Non è tollerabile per De la Vega che le gerarchie ecclesiastiche «manchino di rispetto al governo e al parlamento».
Prima che scoppiasse la diatriba con il Vaticano, i socialisti avevano espunto dal programma elettorale l’ampliamento della legge sull’aborto e il diritto all’eutanasia. Una mossa per riconquistare parte dell’elettorato cattolico e i moderati, nonostante la legge spagnola sulle interruzioni di gravidanza sia tra le più arretrate d’Europa in quanto prevede una lunga procedura burocratica e gravi motivazioni.
Le donne spagnole abortiscono principalmente nelle cliniche private poiché nelle strutture pubbliche l’obiezione di coscienza raggiunge percentuali bulgare. E sono state proprio le cliniche private a scioperare nei giorni scorsi, con la richiesta di adeguare la legislazione al resto dell’Unione Europea. Nei mesi scorsi numerosi medici sono finiti tra le maglie della giustizia con il sospetto di aver permesso aborti facili.
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