“Vorrei esprimere al Santo Padre la mia gratitudine per le parole pronunciate questa mattina, che rappresentano un riconoscimento al lavoro ed all'impegno profuso in questi anni dall'Amministrazione Comunale, dalle altre istituzioni locali e da tutte quelle forze sociali che hanno collaborato a far crescere la città, a migliorarne la qualità della vita senza perdere mai di vista i bisogni ed i diritti dei più deboli, delle fasce più disagiate. Ho definito pubblicamente il discorso pronunciato ieri dal Pontefice, durante l'incontro con gli amministratori di Roma e del Lazio, come uno stimolo ulteriore per il nostro lavoro. Oggi si possono chiudere le polemiche causate da odiose e strumentali reazioni politiche al discorso del Papa”.
(Walter il biancorosso - Imgpress) Ecco, caro diario. Il mio dovere l’ho fatto. Sono stato solerte e beneducato come di solito faccio. Sono stato garbato ma anche deciso. Sono stato riconoscente ma ho anche ribadito il mio impegno per l’amata città che sto governando. Sono stato diplomatico ma anche caparbio nel rivendicare i risultati della mia gestione di Roma. E adesso, qui nel privato, davanti alla splendida vista sui Fori Imperiali che Benedetto si sogna pure, tiè (allego gesto apposito con braccio), posso pure sfogarmi. Questa il Papa non me la doveva fare. Dirmi in faccia al mondo che il degrado della mia amata città è “gravissimo”! Non capisco quale sia il complotto che sta dietro alle sue parole. Ma come! Io mi sono opportunamente defilato quando in Consiglio Comunale hanno fatto quella bagarre sulle unioni civili, pacs, dico o cus o come diavolo si chiamano. Io mi sbatto da mattina a sera per inaugurare asili nido ad Acilia, strade all’Infernetto, centri culturali al Tiburtino, nuovi ponti a Tor Vergata e il teatro a Tor Bella Monaca. Io devo combattere con quella masnada di tassisti che bloccano piazza Venezia e con le truppe di turisti che – per carità, ben vengano – occupano il suolo pubblico e i pubblici autobus diretti a San Pietro senza versare neanche un obolo ai miei concittadini, che non sempre mi amano ma di sicuro impallidiscono quando vedono frotte di pellegrini invadere l’autobus 64 per andare all’udienza papale. Io ho fatto il Miracolo, nel vero e maiuscolo senso della parola, quando milioni di persone si sono riversate a Roma per andare a salutare le spoglie di Giovanni Paolo II: acqua e accoglienza e nessuno che s’è sentito troppo male e soprattutto nessun attentato. Ah, quanto rimpiango adesso le parole di Giovanni Paolo II: “Volemose bene. Semo romani”. Sono io ad avere il fardello del vero Messia, non Silvio che si dichiara il mio Salvatore sorseggiando thè davanti ai mari dei Caraibi e conquistando uno spottone sul Corriere nazionale manco fosse la reincarnazione di Cristo. Io devo combattere ogni giorno con i miei detrattori dichiarati e con quelli nascosti. E Benedetto che fa? Mi fa la predica sul disagio e sul degrado e sulla mancanza di sicurezza della Mia città! La Mia città, hai capito? È come se io andassi da Benedetto e gli rimproverassi di trascurare i Musei Vaticani o la cura delle anime smarrite. Caro diario, sono furibondo. Sono così incazzato che ho attaccato il telefono in faccia a Dario Franceschini, ho appena mandato a quel paese Goffredo Bettini che sta organizzando un mega festival internazionale del cinema, del teatro e della fotografia e ho sbroccato con Romano Prodi dicendo che tanto il prossimo presidente del Consiglio sarò io e, se riesco a ottenere i superpoteri, farò fuori mezza classe dirigente per promuovere solo donne, che sono più brave e affidabili. Ho pure sbattuto la porta in faccia a Giuliano Ferrara, perché mi sono rotto le palle di predicare il dialogo con l’anima cattolica quando l’anima cattolica viene a rompere le palle proprio a me. Caro diario, hai presente quando ho vinto le elezioni comunali contro quel poveraccio di Gianni Alemanno, che aveva le possibilità di vincere pari a nulla virgola zero? Ecco: ho lo stesso pallore di quel giorno. Solo che allora stavo male ma ero felice. Adesso invece accuso il colpo perché ho consumato tutte le energie per non svenire davanti a Benedetto. Quasi quasi stringo un patto con quei testardi laicisti di Pannella. E intanto mando un biglietto di ringraziamento a Fausto per le parole che ha detto: “Se il Pontefice parla di Roma, ne parla come un suo abitante. E va ascoltato come qualsiasi altro abitante”. E poi chiedo la restituzione dell’otto per mille. Chiedo a Benedetto di pagare l’ICI. Chiedo di ospitare nei Giardini Vaticani i poveri clochard della Stazione Termini e i vagabondi delle periferie. A proposito: ma c’è già stato, Benedetto, in qualche periferia?
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