Resoconto dettagliato di centododici minuti di viaggio domenicale su un interregioanle Trenitalia.
(Jean Paul Satrape - La manica tagliata) Torno da Rimini dove ho lavorato sabato e dove domenica mi sono concesso una giornata tranquilla. Il mio vagone è vuoto. Alla mia sinistra quattro giovinastri-figli-della-curva. Si insultano, si picchiano, si provocano, prendono in giro il controllore. Con la coda dell'occhio mi controllano cercando una mia possibile reazione, che non avviene. Non reagisco mai all'idiozia, non perché m'intimidisca, al contrario mi diverte, ma per evitare che si trasformi in violenza. che è ciò che questi cercavano. Abbigliati in maniera quasi del tutto identica, età media 28 anni, discorsi vuoti e del tutto privi di senso, farciti di una serie di neologismi ignoti ai più e che fanno del loro sproloquiare un ''gergo'' nel senso peggiore della parola. Si congratulano tra loro per la fantastica ''trasferta'' (e durante il delirante scambio di battute registro una ventina di ''cazzo'', una ventina di ''vaffanculo'' e altreattanti ''succhia, succhia''...), uno di questi poi chiama la madre per avvertirla che non rientrerà a cena. Il cambio di scena è degno del miglior regista. Occhio umido e sguardo umile, voce bassa e rispettosa, scuse sussurrate. Chiuso il telefono è nuovamente il caos. Io sono arrivato e mi alzo. Uno di loro mi sorride e si scusa. Mentre sto scendendo una signora ultracinquantenne abbigliata come una teenagers si lamenta a voce altissima di ''quegli scalmanati che stanno distruggendo il treno'' e ironizza sulla controllora trentenne che non si rende conto di niente. La osservo e mi viene da dirle che nessuna sembra rendersi conto di niente e che per questo l'idiozia è assurta a ruolo di idolo. Ma non mi va di sprecare tempo e me ne vado. Con la consapevolezza che forse sono un po' colpevole anch'io.
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