Intervista rilasciata al quotidiano cattolico online Petrus. «Professione di fede» del cantautore bolognese: «Mai stato marxista. Ammiro Escrivá de Balaguer».
(Claudia Voltattorni - Il Corriere della Sera) «Nessuno può impedire all’uomo di aspirare al divino. Dio è in ogni luogo, nel volto degli uomini, nel sorriso di un bambino, anche in una canzone ben eseguita». Lo dice oggi Lucio Dalla. Pochi mesi ai sessantacinque anni, alle spalle una storia di note e parole diventate immortali, l’artista bolognese racconta la sua anima di oggi, che abbraccia fede, religione e Dio. E che disconosce quella sinistra che, volente o nolente, per anni lo ha considerato una delle sue voci. Anche se lui non la pensa così, pur avendo più volte confermato di aver «sempre votato Pci, poi Ulivo».
«Non sono mai stato né marxista né comunista» ha sottolineato in un’intervista al quotidiano cattolico online Petrus. Anzi «sfatiamo questa leggenda, se mi sono esibito alle manifestazioni di sinistra è perché sono un professionista: gli organizzatori mi hanno pagato ed io ho cantato. Non credo che un cattolico - perché io tale sono - debba rifiutare le offerte che gli vengono fatte solo per una questione ideologica». Non solo. Dalla rivela di essere anche un devoto di Josemaría Escrivá de Balaguer, il fondatore dell’Opus Dei. Si sente vicino al santo spagnolo per la sua logica del lavoro, spiega: «Io credo nella ricerca del bello, nella santità e nella mistica del lavoro, che poi vuol dire santificarsi per mezzo della propria professione», e anche Escrivá de Balaguer «non faceva del lavoro un idolo, ma affermava che qualsiasi attività dovesse essere eseguita con scrupolo, professionalità e dedizione. Così ci si santifica nel lavoro e si santifica il lavoro»: quello che la voce di «Henna», «Caruso», «Disperato Erotico Stomp» cerca di fare ogni giorno della sua esistenza, «anche attraverso la mia affiliazione all’Opus Dei», contrastando «ogni forma di ateismo e di secolarismo, fenomeni che mortificano purtroppo i nostri tempi».
Professione di fede inaspettata da un personaggio come lui, sempre un po’ controcorrente. Ma Lucio Dalla è un profondo credente. Va a messa, rifiuta l’aborto («La vita va difesa sempre e comunque »), cerca Dio («La ricerca del divino e della trascendenza fanno parte della natura umana»). Lo scorso settembre cantava a Loreto davanti ai giovani e a Benedetto XVI, ama papa Ratzinger, «un grande e grande e fine intellettuale », di cui ha apprezzato l’enciclica sulla Speranza, «il livello della sua catechesi è così elevato da sfuggire a quelle menti che ricercano, nel mondo attuale, solo l’insulto». Ma in fondo, a suo modo, Lucio Dalla la sua fede la cantava anche ieri. Nel 1971, sull’ingessato palco di Sanremo «4/3/1943» dove fu costretto a censurare il suo Gesù Bambino messo tra i «ladri e le puttane». Oppure anni dopo, quando in «Se io fossi un angelo» parlava con Dio chiedendogli: «I potenti che mascalzoni/ e tu cosa fai li perdoni?». Fino al 2007, quando nel suo ultimo, mistico, disco, scrive «I.N.R.I.» («La dedicherei al Papa») e si rivolge al crocefisso: «Io non ho dubbi Tu/ esisti/ e splendi con quel viso da ragazzo con la barba senza età… di cercarti io non smetterò/ abbiamo tutti voglia di/ parlarti mi senti/ mi senti…». Pochi anni prima, in «Il Duemila, il gatto e un re» faceva cenare insieme Karl e Jesus: «tutti e due coi blue-jeans e un giacchettone dicono che nessuno ha più ragione/ concludono che religione e ideologia saranno mescolate nei problemi/ precise come l’orario per i treni».
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