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mercoledì 3 settembre 2008

Bologna. Cambia sesso, da vigile a vigilessa. "I miei colleghi mi hanno accettato".

La storia L'esperienza di un bolognese di 31 anni operato al Sant'Orsola.

(Benedetta Boldrin - Il Corriere della Sera, edizione di Bologna) «A Bologna si sta meglio che in altre città: se ti spieghi la gente può capire». Stefano ha 31 anni e fa il vigile in un comune del bolognese. Ma fino a cinque anni fa si chiamava Katia. Aveva 21 anni quando ha chiamato il consultorio del Mit per la prima volta e 25 quando è stato operato al Sant'Orsola, diventando uomo. Con una storia travagliata alle spalle, e una psicanalisi ancora da seguire, dice di essere «riuscito a farsi accettare dai colleghi». E, superate le difficoltà con i genitori, ora vive vicino a loro. Con due cani, che gli servono «per sublimare il fatto di non avere figli».

Quando ha capito che non si sentiva una donna?
«Già a due anni, ricordo che quando giocavo con un'amica lei faceva la principessa e io il cavaliere. Poi mi hanno spiegato che ero una femmina e la sera mi addormentavo sperando di svegliarmi maschio».

Poi, l'adolescenza.
«Stavo male. Non sapevo bene chi fossero i trans, pensai di essere lesbica e a 18 anni lo dissi ai miei. La presero malissimo. Mi allontanai da loro».

Come decise, invece, la strada del cambio di sesso?
«Incontrai un ragazzo di cui mi innamorai: era una donna ma diceva di sentirsi un uomo. Mi resi conto che volevo essere come lui. Un giorno decisi di tagliare i capelli e mettermi solo jeans e maglie larghe».

Cominciava a sentirsi meglio?
«No, perché nessuno mi riconosceva come maschio. La prima volta che una persona si rivolse a me al maschile, fui felice per tre giorni: capii che andavo nella direzione giusta».

E decise di chiamare il Mit.
«Anche quello fu un momento di forte crisi: avevo faticato per accettarmi come lesbica, ora la mia vita prendeva un'altra piega. Il mio compagno mi lasciò, perché voleva stare con una donna. Dopo un po', dissi a casa e al lavoro della mia svolta».
Il suo cambiamento è stato accettato?
«I miei mi hanno ripreso in casa, anche se c'è voluto del tempo perché si rivolgessero a me al maschile».

E i suoi colleghi?
«Nel complesso mi sento accettato. Ho parlato con tutti, mi hanno fatto le domande più assurde. Ho venduto la mia privacy pur di aiutare gli altri a capirmi».

Poi, l'operazione.
«Mi hanno asportato utero, ovaie e seno. Non ho fatto la ricostruzione. Quasi nessuno la fa, anche perché questa chirurgia non dà ancora risultati ottimali».

Si è mai sentito discriminato?
«No. Ma credo dipenda molto da come ci si pone. Io ho parlato tanto con chi mi stava attorno. Manca la cultura, in genere, di cos'è un trans, ma a Bologna si sta meglio che altrove».

In che senso?
«Qui se ti spieghi la gente può capire».

Ha mai pensato di aver sbagliato tutto?
«Ogni tanto. Ma se sai chi sei, puoi anche metterti in discussione».

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