Dilagano i ritocchi: lifting e seno nuovo quelli più costosi. La liposuzione tra gli interventi più richiesti. Molti sottovalutano i rischi. Il prof. D’Aniello (docente a Siena) mette in guardia: sono operazioni vere, io spesso le sconsiglio.
(Andrea Lanini - Il Tirreno) Se ne parla tanto, tantissimo, forse troppo. Secondo gli addetti ai lavori, però, non nel modo giusto. Il bombardamento mediatico sul mondo della chirurgia estetica, dicono, imbelletta molto. Rischia di confondere. Di fare danni. Perché un’operazione è sempre un’operazione, e i rischi ci sono.
Poi, ogni tanto, qualche voce autorevole si fa sentire, lanciando un allarme che crea scompiglio e fa riflettere. Qualche mese fa (fine 2007) ci ha pensato l’Associazione dei chirurghi estetici britannici (Bapps), che ha messo sotto accusa la «diffusione di rimedi falsi o praticati troppo allegramente», denunciando sui maggiori quotidiani del paese «quanti si improvvisano chirurghi estetici intervenendo anche quando non ce n’è bisogno».
Nonostante i rischi (e i costi), le richieste di intervento sono in vertiginoso aumento. I “ritocchi” più in voga in Italia sono: mastoplastica additiva (aumento del seno), liposuzione, rinoplastica (miglioramento dell’aspetto del naso) e “mini-lifting” (lifting mirato a certe zone del volto e del collo). I prezzi non sono davvero bassi: si va dai 3900 euro per una liposuzione lieve agli 8000 per la riduzione del seno e per il lifting. Invece ingrandire il seno può costare fino a 7200 euro.
Da noi, il problema di questa crescita esponenziale (peraltro difficilmente controllabile) lo ha sottolineato il professor Carlo D’Aniello, ordinario di chirurgia plastica e ricostruttiva presso l’università di Siena e direttore dell’unità operativa complessa di chirurgia plastica dell’Azienda ospedaliera universitaria senese. Che lo scorso gennaio, in occasione di un master in medicina estetica organizzato dall’ateneo senese, ha osservato come si registri «un sempre maggior numero di richieste di trattamento da parte dei pazienti, tanto che tale argomento sta assumendo nella nostra società la valenza di una vera e propria patologia».
«Riguardo al rischio di una cattiva informazione e quindi di finire sotto il bisturi sbagliato, condivido le preoccupazioni dei colleghi inglesi», ci spiega il prof. D’Aniello, presidente eletto della Società italiana di chirurgia plastica ricostruttiva ed estetica (Sicpre). «Intanto è opportuno non fare confusione. Bisogna distinguere tra la chirurgia plastica a finalità ricostruttiva, branca antica, estremamente seria, che risolve tanti problemi, anche molto gravi, e che interviene in caso di malformazioni, ricostruzioni post-oncologiche e post-traumatiche, forme preoccupanti di obesità, ustioni; e la chirurgia plastica a finalità estetica, che riguarda ugualmente operazioni vere e proprie il cui scopo è migliorare l’estetica di alcune parti del corpo. Di solito la confusione nasce tra chirurgia estetica e medicina estetica, due ambiti molto diversi. Quest’ultima comprende trattamenti estetici non chirurgici, tipo il rimodellamento delle labbra o le infiltrazioni (filler) per cancellare o diminuire le rughe».
«Detto questo, bisogna dire che una specialità in medicina estetica non esiste. E anche per quanto riguarda la chirurgia estetica, manca una formazione accurata. Gli interventi chirurgici con finalità estetiche vengono fatti solo in libera professione, il sistema sanitario nazionale (giustamente) non li contempla. È tutto un discorso, questo, che esula dal tradizionale mondo della sanità. E proprio per questo avrebbe bisogno di essere monitorato con attenzione. Tenga conto di una cosa: in Italia, qualsiasi laureato in medicina e chirurgia può fare qualsiasi intervento, soprattutto in ambito privato. Allora capita di vedere, tanto per fare un esempio, un dermatologo o un medico generico o uno specialista in branca medica che, dopo aver passato un paio d’anni in un qualche centro chirurgico a imparare, si mette a operare. Mi pare discutibile. La mia idea è che chi si mette a fare un qualsiasi intervento chirurgico debba almeno avere una specializzazione in una branca chirurgica, che si ottiene dopo un percorso di formazione di 5 anni».
Secondo il professore, i problemi da evidenziare sono soprattutto due: il bombardamento a tappeto dei media, che propagandano un certo tipo di bellezza; la facilità con cui si può accedere a questo tipo di interventi («Prima erano in pochi quelli che li facevano, poi, da quando è scoppiato il business, tanti ci si sono tuffati...»).
Due i rimedi: formazione e informazione. La prima dedicata al chirurgo, la seconda ai pazienti. Che devono essere messi al corrente «di tutti gli aspetti dell’intervento, in maniera seria, senza lasciar da parte problemi e controindicazioni».
Non come fanno certe trasmissioni in tv, che mostrano di tutto, comprese le zoomate sul lavoro dei chirurghi in sala operatoria. Ma non i risultati. Né prima né dopo. E nemmeno le cicatrici. «In effetti edulcorano non poco», osserva D’Aniello.
L’escalation di interventi un po’ lo preoccupa, «anche se non è il caso di parlare di allarme sociale». Come presidente della Sicpre, si è preoccupato di «vedere i numeri». Cosa non facile, perché «non sono solo i nostri soci a fare interventi di chirurgia estetica. A operare sono in tanti. Comunque, secondo i dati che stiamo raccogliendo e che pubblicheremo l’anno prossimo, si può dire che quella della chirurgia plastica a finalità estetica è tra le branche col più alto numero di interventi in Italia». Tanto per farsi un’idea: in un anno, da noi, si fanno da 30 a 50.000 interventi di rinoplastica. Altrettanti sono quelli di mastoplastica additiva. Le liposuzioni sono 80-90.000 l’anno. «Se selezioniamo un gruppo di donne che va dai 35 ai 60 anni, soprattutto di alcuni ceti sociali, possiamo vedere che c’è sicuramente una percentuale di oltre il 60% che si sottopone a qualche intervento di medicina estetica. E una percentuale al di sopra del 30% che ricorre alla chirurgia estetica. È chiaro che su questa crescita esponenziale della domanda, i media hanno il loro peso».
«D’altra parte, se l’informazione riguardo a questi temi la fanno solo certe trasmissioni, o le industrie che vendono prodotti di medicina estetica o anche i singoli professionisti che si fanno vedere in televisione, non c’è da stupirsi dell’effetto».
Certo, capita spesso che la voglia di rifarsi qualcosa venga anche a chi di fatto non ne avrebbe alcun bisogno. In quel caso, dice il professore, è meglio «sconsigliare».
«Magari ti arriva in studio una ragazza giovane che è già carina così com’è e tuttavia si è messa in testa di volere il seno più grande. Cerco di dissuaderla. Io tendo a sconsigliare molto. Se non c’è un vero problema, cerco di convincere il cliente (in contesti come questo è un “cliente” quello che si ha di fronte, non un “paziente”) che è meglio lasciar perdere. Un professionista serio - conclude D’Aniello - deve approfondire il colloquio con la persona che ha di fronte. Se una ragazza di 18 anni si presenta, ad esempio, con un seno malformato il problema c’è e va affrontato. Ma se una arriva con una “seconda” e ti dice di volere una “quarta”, la cosa da dire è: “Ma perché vuoi fare questa cosa? Non stai già bene così?”».
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