Ora, arriva nelle librerie italiane la biografia che di questo grande autore scrisse nel 1974 Henry Scott Stokes, giornalista inglese oggi settantenne, inviato del Times a Tokyo negli anni ‘60 e ‘70.
Già dal titolo, Vita e morte di Yukio Mishima (Lindau) si propone come “la” biografia. Anche in ragione del fatto che Stokes fu amico di Mishima, conobbe la sua famiglia, trascorse periodi di vacanza insieme a lui, e fu anche l’unico occidentale ad avere il permesso di seguire le esercitazioni del suo esercito privato.
Da questa conoscenza personale emerge un racconto smaliziato (a tratti addirittura critico) della vita di Mishima, che passa in rassegna tutti gli aspetti della poliedrica - e contraddittoria - personalità dello scrittore.
Mishima e l’arte, l’amore appassionato per i libri, Mishima che fu il primo scrittore giapponese in odor di Nobel per la letteratura e che però si vide soffiare il prestigioso premio, nel 1968, dal più anziano Yasunari Kawabata. Mishima e la sessualità faticosa, l’attrazione latente per gli uomini, la difficoltà nell’intrattenere rapporti fisici, l’attaccamento morboso alla madre. Mishima e il matrimonio, una scelta fatta a 32 anni (molto tardi, per gli standard dell’epoca) e sostanzialmente solo per far stare tranquilla la famiglia. Mishima e la moglie trovata attraverso gli omiai, gli incontri fatti apposta per combinare matrimoni - e fa quasi sorridere leggere le caratteristiche che lo scrittore aveva indicato come indispensabili per la sua sposa: doveva essere carina e più bassa di lui (anche con i tacchi!), accettare di buon grado il ruolo di angelo del focolare, e non disturbarlo quando lavorava. Mishima e l’esibizionismo, tratto marcato del suo carattere, che unito all’egocentrismo lo spingeva sempre a desiderare di essere al centro dell’attenzione.
Mishima e i viaggi in giro per il mondo, dagli Stati Uniti all’Europa, da quella New York che gli faceva un po’ paura (e che definì, suggestivamente, “Tokyo tra cinquecento anni”) al salotto dei baroni Rotschild a Parigi, dalle conferenze alla Michigan University alla Grecia, dove s’innamorò “del limpido cielo della culla del classicismo”. E infine, Mishima e la morte: forza oscura che sullo scrittore esercitò, fin dall’infanzia, un fascino invincibile, specialmente nella forma più tradizionale e truculenta - quella del suicidio rituale tramite seppuku (l’autosventramento, che in Italia spesso viene indicato impropriamente con il termine “harakiri”). Tanto è vero che Mishima mise in scena molte volte il seppuku nei suoi lavori letterari: e un’ultima volta nella vita reale, su se stesso, quando si suicidò.
Il libro condensa, in oltre quattrocento pagine, la vita e l’arte di Mishima, in un continuo intersecarsi di aneddoti biografici e citazioni dai romanzi. Per trovare quel che lo scrittore ha nascosto di sè nelle pagine dei suoi libri: “Dietro la maschera del samurai“, riflette Stokes, “Mishima sarà sempre un uomo emotivo e vulnerabile. Sensibilissimo a ogni minima offesa e nel contempo all’influenza altrui, invocava amore pur essendo apparentemente incapace di amare”.
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