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giovedì 29 maggio 2008

Iran. Mahmud, l’incubo dei gay.

(Il Riformista) Fu travolgente il boato degli studenti alla Columbia University dopo che il presidente iraniano Ahmadinejad, a settembre dello scorso anno, pronunciò la ormai celebre frase: «In Iran non esistono omosessuali, noi non ne abbiamo». La comunità gay è invece presente in Iran e non se la passa affatto bene, isolata dalla società e dalla famiglia e perseguitata dal regime islamico. Si dice siano 4000 gli omosessuali impiccati negli ultimi trent’anni, molti di più sono stati sottoposti a pene detentive e corporali. Il discorso di Ahmadinejad però almeno un merito lo ha avuto: da allora, la questione omosessuale è diventata importante per i media quasi quanto il nucleare. Sui blog cominciano a circolare video e testimonianze con le prime denunce di chi vive l’omosessualità come un incubo. Nascondono la loro identità sessuale, la cancellano perché potrebbe rappresentare la loro fine. In molti casi si tratta di persone cresciute in famiglie religiose, nell’angoscia di rischiare di perdere tutto. Il dramma maggiore per loro è il non riuscire a creare comunità, il non avere modo di confrontarsi e solidarizzare. Il Parco Daneshjou è il grande punto d’incontro, il famoso Parco degli Studenti, in cui gli incontri sono quanto mai nascosti per sfuggire alle retate della Polizia Morale.

Il rischio è la condanna a morte per impiccagione. Il grande tabù da combattere è per il clero la non precisa identità sessuale. L’Islam non l’accetta, non si sfugge: o uomo o donna. Una storia accaduta nel 1975, letta su un blog iraniano, chiarisce i termini della questione. E quella di Fereidoon Malakara, un giovane ragazzo gay di Tehran che lavorava presso la tv iraniana. Era molto religioso e decise di scrivere a Khomeini, durante il suo esilio francese. L’Iman risponde. Lo invita a fare la scelta, a identificarsi completamente nel sesso femminile e per questo a coprirsi e a seguire tutti i dettami della religione coranica. Scoppia la rivoluzione nel ‘79 e Fereidoon perde il lavoro. Piomba nell’incubo ed è costretto a subire l’emissione forzata di ormoni maschili, così, gli dicono i medici, avrebbe superato il problema. Tramite conoscenze riesce a fissare un appuntamento con l’Iman, lo incontra, gli parla, gli chiede aiuto. Ed è allora che Khomeini, sorpreso dalla visione diretta delle sue caratteristiche femminili deciderà di emettere una fatwa, un comando religioso utilizzato per fissare o modificare una legge. Si sarebbero permessi i cambi di sesso.

Fereidoon Malakara diventa da allora Maryam Malakara, ora è una donna. Tornando all’oggi una buona notizia va comunque registrata. Mehdi Kazemi, che rischiava la pena di morte in Iran solo per il fatto di essere gay, ha ottenuto asilo nel Regno Unito. Per The Indipendent «è una buona notizia, ma non abbastanza buona». Il quotidiano britannico non nasconde l’indignazione per un caso che la giustizia ha saputo risolvere solo dopo due anni, con un provvedimento speciale, e che secondo il giornale avrebbe dovuto invece portare a una modifica delle leggi in materia. Il ventenne Kazemi era infatti giunto in Gran Bretagna nel 2005 e l’anno successivo aveva saputo dell’esecuzione del suo ex compagno, condannato a morte per il reato di sodomia. Era stato lui, prima di morire a fare il suo nome e Kazemi, per evitare il ritorno in Iran, inoltrò immediatamente domanda di asilo. «Un minuto prima studiavo ancora a Brighton e un minuto dopo mi hanno detto che era stato firmato l’ordine di espulsione - ha detto al giornale - Pensavo di essere a un passo dalla morte, mi avevano detto che avrei potuto fare appello solo dopo essere stato rimpatriato. Mi sono detto: è impossibile, chi presenterà appello? Il mio cadavere?».

La richiesta venne respinta dalle autorità britanniche sulla base del fatto che, pur ammettendo che l’Iran condanna a morte imputati omosessuali, non esiste alcuna repressione sistematica. Kazemi insomma sarebbe stato al sicuro se avesse esercitato discrezione riguardo al suo orientamento sessuale. Una scelta vergognosa per il celebre quotidiano londinese.

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