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mercoledì 13 febbraio 2008

Sull'Unità una nota della gayband del Pd. "La battaglia dei gay democratici: Si può fare". Ma senza chiarire con chi.

(L'Unità) Perché una lesbica o un gay dovrebbe votare il Pd alle prossime elezioni politiche? La domanda non è banale, considerato quello che è successo in questi ultimi due anni. Due anni fa il ritorno al governo del Paese dell’Unione portò con sé la speranza per la comunità omosessuale italiana di veder finalmente tradotte in legge quelle richieste, come la legge contro l’omofobia e quella per i diritti delle coppie di fatto, che potessero consentire all’Italia di colmare i forti ritardi su questo terreno rispetto al resto d’Europa. Nel corso di questi due anni proposte di legge moderatissime come quella sui Dico o sui Cus, o come la normativa contro i reati motivati dall’omofobia, leggi che pure erano frutto di tentativi di mediazioni alte tra la cultura laica e quella cattolica, sono via via cadute sotto il fuoco dei veti ideologici di quelle parti della maggioranza e del nostro partito che hanno preferito imporre all’Italia il loro fondamentalismo religioso piuttosto che estendere fondamentali diritti civili a tutti i cittadini.
Esponenti politici del nostro partito ci hanno definiti deviati, malati da curare, alcuni senatori sono arrivati al punto di minacciare il voto contrario sulla legge Finanziaria pur di impedire l’approvazione di timidissime riforme in favore dei diritti dei conviventi e addirittura una senatrice recentemente ha votato contro la fiducia al governo Prodi su un emendamento al decreto sicurezza che voleva contrastare le discriminazioni e le violenze omofobiche. Soprattutto è mancata la forza di saper dare risposta alle speranze di una larga parte della società italiana - non solo degli omosessuali - che su questi temi si aspettava il coraggio di una decisione e che non ha compreso come non si sia andati fino in fondo.
Tante lesbiche, tanti gay democratici in questi due anni se ne sono andati, chi preferendo di agire unicamente dentro al movimento lesbico, gay, bisessuale e transgender chi rifugiandosi nella vita privata.
Noi abbiamo scelto di restare, convinti come siamo che la battaglia per i nostri diritti si debba condurre qui, dentro il Partito Democratico, nel dialogo con le forze migliori del cattolicesimo democratico, provando a risvegliare i tanti laici di questo partito dal loro torpore. È una scelta difficile, ma l’abbiamo compiuta, convinti come siamo che le nostre battaglie dovranno servire soprattutto a riaprire spazi di cittadinanza per quei tanti che si sono allontanati, perché possano tornare presto con maggiore fiducia e speranza.
Sappiamo che la vittoria di questa battaglia civile passa necessariamente per una vittoria nel Pd, in quello che potrebbe essere il più grande partito d’Italia, in quel partito che aspira, anche col nostro sostegno, a vincere da solo le prossime elezioni ed a governare il Paese con le forze migliori della società italiana.
Abbiamo accettato la sfida delle primarie, siamo stati dentro la fase costituente, abbiamo lavorato con forza e convinzione dentro alle Commissioni, e la nostra presenza dall’interno ci ha consentito di raggiungere risultati importanti e significativi. Nel Manifesto dei Valori dopo una lunga ed accesa discussione, la famiglia è stata declinata al plurale: si afferma, infatti, che «le famiglie, nella loro concreta condizione, sono destinatarie e protagoniste delle politiche sociali». Nello stesso documento si auspica che siano «riconosciuti e disciplinati per legge i diritti e doveri delle persone conviventi in unioni di fatto» e che si elimini «ogni discriminazione e violenza per motivi di appartenenze razziali e sociali, di schieramento politico e culturale, di religione, di genere e di orientamento sessuale». Nello Statuto nazionale si afferma che il Pd «si impegna a rimuovere gli ostacoli che si frappongono alla piena partecipazione politica di tutti i cittadini ed in particolare di coloro che per motivi legati al genere, all’origine etnica, alla propria religione o alle proprie convinzioni personali, alle disabilità, all’età o all’orientamento sessuale incontrano i maggiori ostacoli nell’accesso alla vita politica».
Tutto ciò non era affatto scontato, lo si deve soprattutto alla nostra perseveranza e rappresenta senz’altro un risultato importante, ma non basta. Per riaccendere le speranze del nostro popolo serve che questi principi e valori si traducano in precisi e chiari impegni programmatici. Serve che le persone che candideremo ne siano tutte consapevoli e ne divengano convinti e convincenti attuatori, anzichè, come alcuni sono stati in questi anni, cocciuti ed impuniti sabotatori.
Serve soprattutto che questa battaglia possa camminare anche sulle gambe di deputati e senatori dichiaratamente omosessuali che possano lavorare dall’interno delle istituzioni per costruire le mediazioni più avanzate, recuperando un rapporto e un dialogo profondo con quel grande e gioioso movimento che in gran parte ora sta fuori da qui. Perché è del tutto evidente che un partito che si definisce «a vocazione maggioritaria» ha bisogno di rappresentare la società italiana in tutti i suoi segmenti sociali, compresi quelli più scomodi, superando imbarazzi e reticenze.
Walter Veltroni in questi giorni ha proposto lo slogan della campagna elettorale, ispirandosi a Barack Obama «We can» cioè «Si può fare». È uno slogan che punta a trasmettere fiducia e speranza ad una società che vuole cambiare, rompere col passato e guardare con maggiore fiducia al futuro. A condizione però che sappia parlare a tutta la società, senza dimenticare nessuno.
Ecco quindi che la risposta alla domanda iniziale sul perché una lesbica o un gay italiano dovrebbe votare per il Pd dipenderà da quanto in questa campagna sapremo risultare credibili nel pronunciare «Si può fare». Tanti cittadini omosessuali vorrebbero svegliarsi il 14 aprile prossimo e poter dire che sì, «Si può fare»: si può uscire dalla paura, dalla non accettazione sociale, si possono avere diritti come tutti gli altri. Anche noi omosessuali vorremmo camminare verso una “nuova Italia” da protagonisti. Perché noi, anche se non siamo stati citati siamo parte importante di quella Italia a cui Veltroni ha parlato nel suo discorso di Spello. Perché la nostra battaglia è la battaglia di tutti, perché i nostri diritti aggiungono civiltà, rendono un Paese migliore, quel Paese in cui tutti vorremmo vivere. E allora, non solo «Si può fare» ma «Si deve fare».

Andrea Benedino, Anna Paola Concia, Cristiana Alicata, Carmen Antonino, Andrea Ambrogetti, Simone Acquino, Fabio Astrobello, Alessandro Bandoni, Simone Barbieri, Riccardo Camilleri, Alfredo Capuano, Maurizio Caserta, Matteo Cavalieri, Nicola Cicchitti, Enrico Fusco, Veniero Fusco, Daniele Garuti, Carlo Guarino, Nunzio Liso, Sergio Lo Giudice, Enrico Pizza, Carlo Santacroce, Ivan Scalfarotto, Ivan Scanavini, Ennio Trinelli, Carmine Urciuoli, Marco Volante.

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