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(Il blog del solista) Tutte le nostre autorità politiche hanno intonato la consueta geremiade sulla crisi dei rifiuti nella città e nella provincia di Napoli. E’ la solita sceneggiata napoletana che da molti anni ormai diffonde dal Golfo di Partenope al mondo intero, insieme al rimpallo delle responsabilità tra politici e burocrati locali e nazionali , le solenni promesse di quegli stessi politici e burocrati di voler “affrontare alla radici” il drammatico problema. Questa volta, però, il Presidente della Repubblica in persona ha dedicato alla questione uno dei suoi quotidiani, accorati e nobilissimi interventi, definendola addirittura “tragica”.
Per parte mia, sarei semmai incline a definirla tragicomica perché, come al solito, nella ridda di spiegazioni che vengono date alla questione ed alla sua indomabile cronicità, la spiegazione principe non viene mai non dico evidenziata, ma neppure menzionata. E qual è questa spiegazione ignorata o sottaciuta ? Ovviamente quella che da molti anni segnalo invano in questi miei interventi: e cioè la mostruosa e crescente sovrappopolazione che da oltre mezzo secolo affligge Napoli e il suo circondario. “Ma questo De Marchi – protesterà forse qualcuno dei miei ascoltatori – ha proprio una fissa per la questione demografica. Come si fa a parlare di bomba demografica anche per l’Italia dove tutti, a partire dai nostri più celebrati demografi, lamentano il crollo della natalità e invocano generose franchigie fiscali e sontuosi premi per le mamme e i babbi prolifici ?”
Ebbene sì, cari amici, questo mentecatto di De Marchi denuncia da molti anni la minaccia di una bomba demografica non solo in Italia ma in tutta Europa. Vediamo perché. Già trent’anni fa, in un Convegno che tenni con Aurelio Peccei nelle sale dell’Hotel Jolly di Roma, ricordavamo che nel mondo contemporaneo la sovrappopolazione si presenta in due forme: nella forma dell’eccessivo incremento, che affligge il Terzo Mondo e che condanna quelle popolazioni a raddoppiare ogni 20-30 anni ed a sprofondare nella miseria e nella fame; o nella forma dell’eccessiva densità, che affligge l’Italia e l’Europa intera facendo del Vecchio Continente e della sua ineguagliata densità demografica il vero formicaio del pianeta e che condanna le popolazioni europee, dati i loro tassi proibitivi di consumo e inquinamento pro-capite, a sprofondare nelle emissioni e nei rifiuti tossici. A causa di questi tassi proibitivi di consumo e inquinamento (40 o 50 volte più alti di quelli del Terzo Mondo), gli odierni 60 milioni d’Italiani, per esempio, inquinano e devastano l’ambiente come 2 miliardi e mezzo di africani stipati sulla nostra piccola penisola.
Insomma, come già denunciavo due anni fa in un articolo che questo odierno deve in larga misura ricalcare, la crisi dei rifiuti a Napoli è un esempio emblematico sia della centralità del fattore demografico nel disastro ecologico europeo, sia della sua sistematica negazione e rimozione. Certo, nella crisi napoletana operano anche altri cruciali fattori: e in primo luogo l’inettitudine e la corruzione di una dirigenza politica che si è presentata come artefice d’un nuovo Rinascimento della Campania mentre ripeteva fino alla nausea l’antico rituale del “panem et circenses” ed i vecchi sperperi del denaro rapinato ai contribuenti del settore privato, compresa la vergognosa assunzione di 12.000 operatori ecologici nullafacenti (20 volte di più che nelle altre provincie) e di un numero assurdo di spazzini (25 volte di più che a Milano) quasi tutti fannulloni. Di quest’esercito di finti spazzini, ben 2400 sono pagati da 7 anni senza aver mai lavorato un solo giorno: e, per pagarli, a 2400 lavoratori del privato la burocrazia parassitaria ha dimezzato la già misera busta paga, senza che i cari sindacati di regime, complici della classe politico-burocratica sfruttatrice, dicessero mai una sola parola di protesta. Ma torniamo al tema demografico.
La pressione della sovrappopolazione è evidente, nel napoletano, ormai da decenni. Basterà ricordare che la popolazione di Napoli (ove il Vomero, oggi un quartiere urbano centrale, era luogo di villeggiatura estiva ancora agli inizi del ‘900) è quintuplicata in cent’anni, come quella del Terzo Mondo, e che tutto l’anello della Circumvesuviana è dagli anni ’50 un’ininterrotta sequenza di muri e case, come le più affollate contrade giapponesi.
E il carattere stesso della crisi odierna, come di quelle che l’hanno preceduta, proclama le sue radici demografiche. Non si tratta infatti di una crisi di rifiuti industriali, ma di rifiuti umani, cioè di cataste d’immondizie prodotte da una popolazione assurdamente addensata tra i monti e il mare. E i semplici numeri raccolti da una mia brava collaboratrice, Giovanna Mollace, ce lo confermano ampiamente. La provincia di Napoli, sede delle periodiche crisi periodicamente deplorate dalla popolazione e dalle dirigenze, ha una densità demografica di oltre 2.600 abitanti per kmq., cioè quasi 20 volte più alta della media nazionale, che già piazza l’Italia ai primi posti nella densità europea, a sua volta insuperata da quella d’ogni altro continente. La città di Napoli con i suoi dintorni, infine, supera la densità di 8.500 abitanti per kmq., che ne fa una seria concorrente di Gerusalemme ove, non a caso, gli umani si scannano da duemila anni in nome della misericordia giudaica, cristiana e islamica. Del resto, il fatto stesso che i rifiuti dovranno essere piazzati in altre regioni meno sovrappopolate (a partire dalla meno affollata, cioè la Sardegna) è un’ulteriore dimostrazione della componente demografica del problema.
Ma a questa cruciale componente della crisi ecologica, economica e sociale napoletana, che sembra anticipare il destino di un’umanità avviata a soffocare nei suoi rifiuti perché incapace di regolare la sua stessa proliferazione, nessuna autorità politica o religiosa partenopea (e tanto meno i guru della cosiddetta difesa ambientale) ha mai neppure accennato. Al contrario, tutte quelle autorità sono oggi impegnatissime a spalancare le porte all’immigrazione di massa e ad incentivare la prolificità dei napoletani. Quale prova migliore delle radici psicologiche, anzi psicopatologiche, del disastro ?
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