(L'Occidentale) All’inizio non l’ha preso sul serio nessuno. D’altronde si tratta di un comico. Ma da quando, la settimana scorsa, un sondaggio Rasmussen gli ha attribuito il 13 per cento dei consensi in una ipotetica sfida a tre con Clinton e Giuliani, la candidatura di Stephen Colbert non è più considerata soltanto uno scherzo.
Nato a Washington 43 anni fa, ma cresciuto in South Carolina, cattolico di origini irlandesi, sposato con tre figli, Stephen Colbert è il protagonista del Colbert Report, un popolare talk show che va in onda sul canale via cavo Comedy Central. Vincitore di tre Emmy (gli Oscar della tv americana), Colbert, prima di “mettersi in proprio”, ha collaborato alla serie cult Strangers with candy. E’ stato inoltre consulente di MTV ed ha lavorato come autore di testi al Saturday Night Live. Il suo spettacolo satirico è una parodia dei talk show condotti da personalità molto forti come il conservatore Bill O’ Reilly della Fox News. Amante dei romanzi di Tolkien e dei giochi di ruolo tipo Dungeons & Dragons, Colbert, che odia visceralmente gli orsi, ha una faccia di bronzo e una dialettica da fare invidia ai più navigati oratori politici. E proprio sul versante politico si è specializzato negli ultimi anni con corrispondenze graffianti dai centri del potere washingtoniano.
Colbert non risparmia nessuno: politici repubblicani e democratici, giornalisti e protagonisti del media system. E, ovviamente, il presidente. Il 29 aprile del 2006, prende parte come intrattenitore alla cena di gala per i corrispondenti dalla Casa Bianca. Nel suo intervento, pronunciato a pochi metri da Bush, Colbert punzecchia tanto il presidente quanto i giornalisti del White House Corp. Un’irriverenza che non entusiasma l’uditorio. Entusiasta, invece, è la risposta del pubblico americano. Nella prima puntata dopo il discorso, lo share del suo Colbert Report incrementa del 37 per cento. Non solo, sei mesi dopo la serata di gala, l’opinionista del New York Times, Frank Rich, definisce il discorso di Colbert un passaggio chiave (“defining moment”) nelle elezioni di mezzo termine per il rinnovo parziale del Congresso.
La discesa in campo di Stephen Colbert è stata studiata a tavolino con una precisione da far invidia alle macchine elettorali dei supercandidati Hillary, Obama e Giuliani. Il 7 ottobre, esce nelle librerie il libro satirico di Colbert I Am America (And So Can You!). Una settimana dopo, il 14 ottobre, l’editorialista del New York Times, Maureen Dowd, cede la sua rubrica per un giorno a Colbert, che dichiara di essere disposto a candidarsi presidente per la cifra di 15 milioni di dollari. Il 15 ottobre, Colbert appare allo show di Larry King sulla CNN e gigioneggia sulla sua candidatura. Passa un altro giorno ed è al Daily Show di Jon Stewart. Qui sostiene di prendere in seria considerazione la possibilità di candidarsi alla Casa Bianca. “Ma – sottolinea tra le risate – se mi decido, farò l’annuncio in uno show ben più prestigioso di questo”. Passano solo 15 minuti e Colbert dichiara nel suo Colbert Show che il dado è tratto: si candida alla presidenza. Il comico annuncia, però, che correrà solo nel suo Stato, la South Carolina. Per quale partito? Per il partito Repubblicano e per quello Democratico. Quando gli chiedono il perché di questa scelta, Colbert ha la battuta pronta: “Così, sono sicuro di perdere due volte”.
Ciò che sembrava una boutade si è trasformata ben presto in una “cosa” con la quale devono confrontarsi i candidati “veri”. La dimostrazione più clamorosa viene da Internet. Appena annunciata la candidatura, un ragazzino dell’Alabama, Raj Vachlani, dà vita al gruppo “Un milione per Stephen Colbert”, ospitato sull’aggregatore web Facebook. I risultati sono da studi universitari: in una settimana il Colbert group supera il milione di adesioni, alla media di 83 nuovi membri ogni minuto. Per avere un termine di paragone, a Barack Obama sono serviti 8 mesi per raccogliere 380 mila adesioni ad un gruppo simile. Colbert ci prende gusto ed anche i suoi sostenitori. Il 28 ottobre ha preso il via il suo tour elettorale in South Carolina. Il sindaco della città di Columbia, Bob Coble, gli ha donato le chiavi della città e lui, di fronte a centinaia di supporter, ha preso l’impegno a “distruggere” il confinante Stato della Georgia qualora venga eletto. Parole accolte con un fragoroso applauso e grida di approvazione.
Ancora più politicamente scorretta la ricetta di Colbert sul tema chiave dell’immigrazione. “Anche se sono stati gli immigrati a costruire questa nazione”, ha affermato, “adesso questa nazione è ben costruita, perciò gli immigrati vanno cacciati via. Ai confini, dobbiamo costruire dei fossati con dei fiumi di fuoco, controllati da coccodrilli a prova di fiamme”. Ma dove potrà arrivare Stephen Colbert? Secondo James Poniewozik del settimanale Time, il comico è comunque una persona responsabile e dunque non giocherà il ruolo di “guastafeste” nella campagna presidenziale. Per questo, oltre che per ragioni pratiche, secondo Poniewozik, Colbert limiterà i suoi sforzi alla South Carolina. Comunque vada, ci sarà da ridere. E intanto, aspettando l’Air Force One, la Virgin America ha annunciato che, in suo onore, chiamerà uno dei suoi aerei Air Colbert.
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