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giovedì 1 novembre 2007

Al voto, ma come?

Un sondaggio commissionato da “Repubblica” rivela che il 57% degli intervistati vorrebbero tornare alle urne. Rimane però il problema legato alla legge elettorale, e l’incertezza di vecchie e nuove alleanze tutte da verificare. E se il Pd accarezza l’idea di correre in solitudine, i numeri non sembrano favorirlo nell’operazione. L’impasse del centrodestra, il futuro prossimo della sinistra.

(Emiliano Sbaraglia - aprileonline.info) Il sondaggio -Secondo un rilevamento Demos-Eurisko, sembra dunque che oltre la metà degli italiani (il 57%), sarebbe più che favorevole al ritorno al voto in caso di caduta del governo. Un dato, a ben guardare, indicativo soltanto parzialmente, considerando come scontata questo tipo di preferenza da parte dell’elettorato di centrodestra (73%).
Del sondaggio, un elemento di particolare interesse rappresenta l’orientamento degli elettori del neonato Pd, che vorrebbero confermato il patto con le forze della sinistra cosiddetta “radicale”, e con l’Italia dei Valori di Di Pietro. Viene da chiedersi, dopo quanto accaduto con la bocciatura della Commissione d’inchiesta per i fatti di Genova durante il G8, se molti di quegli stessi, interpellati a poche ore di distanza, continuino a pensarla allo stesso modo nei confronti del partito dell’ex pm. Più difficile invece (e questo era facilmente comprensibile), l’accettazione di una eventuale rinnovata alleanza con l’Udeur, a tal punto che circa il 50% degli intervistati, pur respingendo l’ipotesi di una “grande coalizione”, vedrebbe con favore un’intesa con l’Udc di Casini. Segnale, questo, di un naturale (s)bilanciamento del Pd verso l’area moderata del novello soggetto politico.

Tralasciando quella piccola componente che immagina intese ancora più larghe, quanto a dir poco ardite (l’8% aprirebbe a Forza Italia (!), il 3% alla Lega Nord), il 38% sarebbe disponibile a sostenere una competizione elettorale in solitaria. Entra in gioco a questo punto la strategia-Veltroni, e non solo la sua.

Il Pd -“Il voto anticipato sarebbe irresponsabile”. Parte da qui il ragionamento del leader del Pd durante l’ultimo incontro con deputati e senatori “democratici-Ulivo”; e la questione della legge elettorale, più volte ripresa anche dal Capo dello Stato, diviene dirimente al momento di scegliere come giungere a elezioni anticipate. I vari “modelli” proposti, infatti, da quello tedesco a quello spagnolo, passando per il francese, determinerebbero inevitabilmente orientamenti politici diversi a seconda dei casi. E l’ipotesi di una corsa individuale del Pd, finalizzata a contrattare poi con i papabili alleati, forte della forza dei numeri, seppure supportata dal 37% ufficialmente dichiarato da Veltroni, in realtà sembra percorribile sino a un certo punto: i dati reali segnalerebbero in effetti percentuali attorno al 28% (fonte Piepoli), il che vorrebbe dire meno della somma dei voti ottenuti da Ds e Margherita alle ultime elezioni (31% circa).

Il centrodestra -In questa selva di numeri e probabili (o improbabili) tatticismi, l’attuale opposizione non dorme anch’essa sonni tranquilli.
Al di là delle dichiarazioni convenzionali, che pure denotano alcune frizioni tra il binomio Berlusconi-Fini, non ultima quella riguardante proprio la formazione di un partito unico, nella Cdl l’impressione è che in ogni caso non si remi nella stessa direzione, trasportati da obiettivi tra loro ben poco convergenti.
Oltre al 57% di italiani di cui sopra, non è un segreto che l’italiano più propenso a sciogliere le Camere per tornare al voto sia il Cavaliere. Il motivo potrebbe essere facile da intuire.
Il pressing di Gianfranco Fini per sostituirlo alla leadership del centrodestra, alimentato anche dalla recente manifestazione a Roma del suo partito, induce a pensare che prima si voti, più la candidatura del capo di Forza Italia resti al sicuro. La formazione di un “Partito della Libertà”, orientato a rispondere alla novità politica rappresentata dal Pd, comporterebbe invece l’aumento delle possibilità di Fini di porsi a capo di questa nuova formazione, per completare quella sensazione di “rinnovamento” che si vorrebbe proporre all’elettorato. Ma per coordinare un’operazione del genere ci vuole tempo, e lo stesso Fini appare piuttosto incerto nello spingere o meno sull’acceleratore in tal senso. Berlusconi, da parte sua, avendo un partito che tuttora registra da solo percentuali di preferenza superiori al 28% stimato per il Pd, aggiunge a suo vantaggio un altro motivo affinché tutto cambi affinché nulla cambi.

La sinistra -Tornando alle indicazioni offerte dal sondaggio, per uno strano paradosso i più “conservatori” dell’attuale situazione politica sembrano essere proprio gli elettori della sinistra di governo, la maggior parte dei quali vorrebbero mantenere l’attuale alleanza, anche qui con la sostituzione tra Udeur-Udc. E se dalla Costituente socialista arrivano le parole di Gavino Angius con l’avvertimento al Pd di fare attenzione ai numeri, che per l’ex diessino non regalerebbero più di un 25% ai democratici di Veltroni, nell’area composta dal “cartello dei quattro”, Prc-Pdci-Verdi-Sd, gli Stati generali della sinistra dovrebbero dar vita a una federazione di partiti ancora da definire ma da compiere entro la fine dell’anno, per farsi trovare pronti in caso di voto anticipato. Ma anche in questo caso siamo ancora di fronte all’incertezza del come realizzare concretamente questo passaggio (certo di non poca rilevanza) e del come porsi nel quadro politico appena descritto.

La corsa al voto, nei fatti, alla fine potrebbe rivelarsi non così salvifica. Allo stesso tempo, l’alternativa di un governo in costante affanno, sfibrato da un’alleanza troppo ampia quanto necessaria dopo la famosa “porcata”, e quotidianamente messa alla prova da quella tendenza tutta italiota al “particulare” di guicciardiana memoria, non può produrre altro oltre una irreversibile agonia.

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