Ed ora un po’ di dimissioni, grazie!
di Enrico Oliari*
La tornata elettorale è ormai passata da qualche giorno dopo aver lasciato, come uno tsunami, sul bagnasciuga i pesci agonizzanti della Sinistra Arcobaleno e di altri partitini e partitetti caratterizzati da flop più o meno prevedibili, come quello di Giuliano Ferrara e della sua lista antiaborista.
Ed anche per il movimento gay si è trattato di una Caporetto. O meglio, per quella parte di movimento gay che per anni ha preteso di rappresentarne l’intera comunità schierandosi e facendo schierare tutti con una sinistra palesemente ipocrita, che voleva noi omosessuali in un pentolone dove dentro ci stava di tutto e di più, come se la questione dei diritti delle persone omosessuali fosse la stessa cosa di quella degli zingari, del bombardamento in Iraq e del No Global.
Lo svendere il patrimonio politico e culturale di una battaglia di libertà, com’è la nostra, alle nomenklature di certi partiti è ritornato come un boomerang sul movimento gay italiano, come se non fosse bastato il chiaro segnale di un Paese che ancora non ha attuato leggi per il riconoscimento della coppia gay, uno degli ultimi dell’Europa Unita.
Ed ancor più è ritornato sulle teste dei mille arrivisti per fortuna trombati, puniti da una comunità omosessuale che oggi ha votato i partiti di centro-destra: se gli italiani non sono scemi, i gay lo sono ancora di meno e l’episodio dei DiCo, i tentennamenti e le arrendevolezze si sono tradotti in un’ipocrisia imperdonabile. Tanto vale votare secondo coscienza, come cittadini, non come gay… almeno a Destra si sa come la pensano e si sa contro cosa lottare.
Il mondo gay è rimasto assuefatto, fino alla nausea, da una politica omosessuale pensata in funzione di una lotta che con l’omosessualità c’entra ben poco, perché l’orientamento sessuale, lo sappiano i trombati, non ha nulla a che fare con il No al nucleare e con l’antiamericanismo forzato; ed il tutto per poi arrivare alla timida proposta del riconoscimento delle coppie di fatto “come due nonnine che convivono”, ci dicevano, mentre i gay hanno bisogno del riconoscimento di diritti solidi della coppia omoaffettiva o dell’allargamento del matrimonio civile.
Non ha pagato quell’infantile dialettica dell’antifascismo forzato, che è arrivato, ma solo in ordine cronologico, all’iscrizione dei vertici di Arcigay Roma all’associazione nazionale partigiani, come se si fosse trattato della stessa cosa e come se durante la guerra il presidente dell’associazione gay capitolina avesse sparato ai tedeschi.
Come neppure ha dato i suoi frutti l’appoggio, sicuramente non gratuito, offerto a Rutelli da parte si alcune associazioni omosessuali romane: non basta un colpo di spugna, neppure se costasse 40.000 euro, per cancellare le uscite di Francesco Rutelli contro il riconoscimento della coppia gay, e questo gli omosessuali lo sanno.
Oggi a punire la classe dirigente del movimento omosessuale italiano sono stati gli omosessuali stessi, dimostrando con un non voto o con un voto che ha arricchito persino la Lega di Calderoni il più completo dissenso nei confronti di una politica gay che va ripensata da zero.
L’unica eletta del movimento è stata Paola Concia nelle file del Partito Democratico, ma è difficile sentirsi, come omosessuali, rappresentati da chi in campagna elettorale dichiarava, in un pessimo articolo apparso su Pride, di avere nel suo programma il riconoscimento della coppia, mentre altrove parlava di riconoscimento “dei diritti delle persone che si amano”; tant’è che se nel programma del vecchio Ulivo vi erano sette righe e mezzo sul riconoscimento dei diritti dei conviventi, nell’attuale programma del PD vi era solo una riga e mezzo e di coppia neppure l’ombra.
Come giustamente ha osservato Giovanni Dall’Orto, è arrivata una salutare batosta, e con essa, aggiungo io, l’occasione per ricominciare da zero, per ritornare a quella sana militanza delle origini dove ai partiti non si fanno sconti e soprattutto dove non si gioca al ribasso in nome di finanziamenti per le feste, di un posticino nel consiglio comunale o di un posticione in Parlamento.
Certo è che le persone che si sono esposte con strategie e dialettiche fallimentari hanno oggi il dovere di farsi da parte: non basta un pianto da pie donne in una sede congressuale, ci vogliono dei mea culpa belli sonanti.
E soprattutto una politica gay pensata per i gay e con obiettivo i diritti dei gay: solo facendo del movimento gay un sindacato potremo dialogare con tutte le forze politiche ed ottenere quei diritti che ci possono arrivare solo da un voto transpartitico.
*Presidente nazionale GayLib
www.GayLib.it
-
Nessun commento:
Posta un commento