(Stefania Berbenni - Panorama) È sempre brutto far della sociologia e dell’analisi massmediologica da Essselunga, ma se una trasmissione calamita solo due categorie, giovani e laureati, risultando invece urticante per il resto dei telespettatori, un motivo ci sarà. È quanto è successo ad X-Factor, il talent-show che Raidue sta mandando in onda dai primi di marzo: format comprato all’estero, italianizzato al meglio e sparato in palinsesto con la solita delirante incertezza Rai di questi ultimi mesi. Il meccanismo è semplice: dilettanti (o quasi) allo sbaraglio, messi lì a cantare canzoni note giocandosi la possibilità di entrare nel sempre meno dorato mondo della musica pop. In palio infatti, c’è un contratto da 300mila euro con la Sony-Bmg, il pubblico vota da casa, in studio ci sono i tre capisquadra che fungono anche da giurati, oltre a un conduttore jolly.
Questa la formula giusto per chi non sapesse come è fatto il programma cha da alcune settimane è argomento di salotti alti e di folli passioni fra i giovanissimi. Come dire, il pubblico di Quelli della notte e di Amici singolarmente uniti da un reality un po’ meno scemo dei soliti reality perché ha un centro (la passione per la musica) e non il bla-bla esistenziale.
Così, malgrado lo share non vertiginoso (una media del 10 per cento), X-Factor rischia di passare alla misera storia della tv italiana per avere, in un momento particolare del Paese, riflesso perfettamente ciò che sta succendo al di là dello schermo.
C’è l’Italia radical-chic impersonata da Morgan, ex Bluvertigo il giurato “con la puzzettina sotto il pizzetto”: ed è lui il vincente di X-Factor perché da artista ed ex compagno di Asia Argento, amato ma anche con un’aura da perdente, un po’ da sfigato è improvvisamente assurto al ruolo di guru da terzo millennio. Piace ai concorrenti, al pubblico, alle ragazze, tutti lì a pendere dalle sue labbra truccate e dai movimenti del pizzetto inquieto. Morgan è infarinato di maledettismo, è un anarchico amante delle regole, è uno snob alla quinta, un niciano contemporaneo. È l’intellettuale del gruppo, quello che più assomiglia alla sinistra che ha perso le elezioni: guarda spesso la realtà dall’alto in basso, pecca di superbia intellettuale e a volte non capisce cosa stia succedendo davvero. Sentenzia, vorrebbe cambiare il sistema e il sistema se lo mangia. E forse per questo risulta irresistibile a molti.
C’è poi l’Italia dell’homo-videns: vale solo ciò che passa in tv, tutto è immagine, lo share è il dio moderno e il primo imperativo è essere belli e giovani. A interpretare quest’Italia di plastica, lelemoriana, è la siliconata Simona Ventura (il secondo giurato-caposquadra) che però non fa che dire che lei sceglie “con la pancia” e butta “il cuore oltre l’ostacolo”. Da X-Factor esce con le ossa semirotte, la musica non è il suo elemento e malgrado la verve, la padronanza del mezzo tv e le ammissioni di ignoranza, X-Factor ha messo a nudo la filosofia che l’ha mossa in questi anni: “il pubblico ha sempre ragione” “con quella faccia così bella puoi fare quello che vuoi… “. Si direbbe che il calcolo è il suo mestiere, nulla è mai casuale, né il sorriso, né l’ammiccamento. O forse, è la legge del contrasto a generare questa brutta sensazione, perché Simona ha allo stesso tavolo dei giurati Mara Maionchi, signora over sessanta con una vitalità da trentenne, produttrice discografica, e in curriculum ha Gianna Nannini e Tiziano Ferro. Verace, schietta oltremodo, ricorda Iva Zanicchi ma soprattutto ricorda l’Italia di Peppone e Don Camillo quando si litigava per il bene comune e l’umanità vinceva su tutto. È adorata da tutti, all’improvviso è diventata popolare ma la notorietà le scivola sul viso pacioso, è l’anti-Ventura, è l’anti televisione pur essendo televisiva come pochi.
A completare il quartetto di volti c’è dj Francesco, qui in veste di conduttore: la sua è l’Italia giovanile e giovanilistica, slang da discotecaro, un passato sballo, sesso e tatuaggi ma un presente da impegnato. Anche lui esce bene da X-Factor, ripulito, cresciuto, meno bamboccione. Ha gestito la fascia quotidiana del programma (prima del tg serale) con lessico semplificato, basico ma cuore. Sta studiando da conduttore e le ripetizioni gliele dà la Ventura.
Infine i concorrenti. Anche qui c’è un’Italia di solito poco raccontanta, un po’ ciellina, molto diversa da quella litigiosa di Amici; il dietrolequinte è uno spettacolo di solidarietà e buonismo. Tutto vero? Poco importa saperlo, funziona l’effetto soap, vince il sogno, vince il romanticismo del lieto fine, del Saranno famosi, la possibilità che, per merito, giovani di talento arrivino alla vittoria. Capiremo poi se sono dei Forrest Gump o dei furbetti del quartierino della canzone.
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