La pink lobby nelle primarie. Valgono nove milioni di schede e sono formidabili nella caccia ai finanziamenti.
(Klaus Davi - La Stampa) Valgono quasi 9 milioni di elettori, il 7 per cento dei voti. Pesano più dell'Udc in Italia e sono un volano formidabile per la caccia ai finanziamenti. Ecco perché gli elettori gay - la «pink lobby» - sono uno dei grandi terreni di scontro tra gli agguerriti staff di Obama e della Clinton, che si contendono non solo il loro voto, ma anche gli strateghi elettorali specializzati nella conquista mirata di questo target.
Nella corsa Hillary parte favorita per motivi «familiari». Clinton vantava nel suo staff un campaign manager gay sin dal lontano 1992. Si tratta di David Mixer, che già allora diede vita ai primi eventi gay per la raccolta fondi di un candidato alle presidenziali. Mixer, dopo aver lavorato per Edwards, ha preferito Obama alla Clinton, portando con sé uno staff di ben 22 persone. Barack lo ha fortemente voluto per tentare di insidiare il primato che Hillary vanta sul target omosessuale: l'ex first lady ha infatti dalla sua il 63 per cento dei consensi, contro il 29 del rivale. Resta saldamente in cima al consenso del popolo lesbo gay Usa, ma proprio su questo fronte il suo staff ha registrato allarmanti defezioni a favore del competitore nero. Come quella di Jeremy Bernard che, con il suo compagno Rufus Giford, sta dando vita a una delle più vivaci e versatili campagne elettorali rivolte al queer world. È gay anche il vice direttore della campagna di Obama, Steve Hildebrand, attivissimo nella raccolta fondi nel mondo hollywoodiano.
Hillary non si è data per vinta, forte soprattutto dell'appoggio istituzionale della comunità GLBT. Gran parte dei gruppi gay democratici di New York la sostengono e così pure autorevoli personaggi politici. Come il sindaco di San Francisco Gavin Newsom, noto per essere stato tra i primi a promuovere i matrimoni gay in Usa, il quale si è vendicato di Obama, che nel 2004 si era rifiutato di fare una foto con lui sull'onda della polemica dei matrimoni fra persone dello stesso sesso. I Clinton hanno pescato perfino nell'esercito, guadagnandosi l'appoggio del veterano Keith Kerr, generale di brigata della Guardia nazionale in California, gay dichiarato.
Nella spietata caccia al voto però non si lascia nulla di intentato. Hillary ha percorso in lungo e in largo, in California, storici locali come «The Abbey» di Los Angeles, dove ha urlato alla folle osannanti: «Ho bisogno di voi». E non c'è bar gay di New York, dal «Therapy Gay Bar» al «Soho Club», in cui non abbia tenuto infuocati comizi a favore delle unioni civili. Obama, per non essere da meno, si è precipitato qualche giorno fa in Iowa, a Des Moines, ospite della tavola calda «Palmer's Deli», dove ha distribuito t-shirt nere sulle quali campeggiava un programmatico «Gay guys for Obama». Non pago, giusto per ribadire da che parte sta, ha voluto promuovere un evento semi improvvisato a Los Angeles, presso il «W Hotel», sottolineando durante il variopinto happening che nessuno più di lui può capire e dare risposte alla questione dell'uguaglianza dei diritti.
E non basta ancora. I due contendenti hanno dato voce a massicce campagne telefoniche mirate sul target omosessuale. In Stati come il Sud Caroline, il New Hampshire e perfino nel conservatore e machissimo Texas, decine di volontari omosex hanno bersagliato di telefonate, ma anche visite elettorali, librerie e palestre della comunità gay. Hillary si è fatta ospitare da una lesbica storica, Ellen De Generse, nel suo show televisivo, dove ha potuto sottolineare il suo deciso appoggio alla causa. Tutto ciò mentre in Columbia Obama ha organizzato un concerto gospel in compagnia del reverendo Andy Sidden, famoso referente religioso e dichiaratamente gay.
Se i contendenti democratici si scannano per il voto «rosa», lo stesso non si può dire dei candidati repubblicani. Il vero eroe della comunità GLBT è stato fino a qualche settimana fa Rudolph Giuliani che, a New York, poteva contare addirittura sul 50 per cento dei voti della comunità gay contro il 23 del win runner McCain. Perso lui, l'influente minoranza, che può contare su numerosi adepti anche nelle fila conservatrici, non ha un vero e proprio interlocutore. I toni della campagna GOP rischiano di farsi addirittura ostili verso di loro, se si pensa che solo pochi giorni fa, sul «Los Angeles Times», Mike Huckabee si è veementemente schierato contro i matrimoni fra persone dello stesso sesso, arrivando a invocare la volontà di Dio. Pertanto l'organizzazione vicina al Grand Old Party, la Log Cabin Republican, molto attiva e proficua nella raccolta fondi, guarda con attenzione a cosa dirà McCain, che fino a questo momento si è defilato. Il suo staff è stato addirittura accusato di aver diffuso «robo call» (chiamate telefoniche automatiche) a contenuto anti gay nello stato del New Hampshire. Ma sulla vicenda il candidato Repubblicano non ha, sino ad ora, preso una chiara posizione. Alti e bassi costellano da sempre i rapporti fra la destra americana e la comunità GLBT. Bush padre non fu mai appoggiato dai repubblicani «rosa» per le sue posizioni troppo conservatrici. Andò meglio col figlio, che nel nel 2000 decise di incontrarli ad Austin per garantirsi il loro appoggio. Per poi, comunque, «divorziare»: nel 2004 il Log abbandonò Bush jr dopo che si era fatto promotore di un emendamento costituzionale per vietare i matrimoni omosex.
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