A Roma, la capitale politica del paese, non si possono solo tenere Pride, che sono delle feste allegre e colorate, c'è bisogno di manifestazioni realmente rivolte alla politica. Il problema che non c'è la volontà di organizzarle, visto che solamente Arcigay negli ultimi anni, ha proposto iniziative di grande impatto anche mediatico, differenti dal Pride.
(Aurelio Mancuso) In un giorno solo i gay e le lesbiche italiane hanno saputo che vi è la proposta di tenere a Genova il Pride del 2009 e che a Roma si terrà nel 2011 l'Europride. Azioni decise da associazioni lgbt, che in modo a qualcuno apparso unilaterale, si sono assunte il compito di stabilire date e luoghi. Perché accade così? Non c'è un modo vero di stabilire una volta per tutte chi ha la titolarità di indirre i Pride? Negli ultimi due anni si è provato attraverso le riunioni del movimento, ovvero la chiamata di tutte le articolazioni presenti sul territorio, a stabilire insieme luoghi, piattaforme, organizzazione dei Pride. Non ha funzionato per due ragioni di fondo. La prima è che da una parte c'è chi sostiene che i Pride nazionali debbano essere itineranti e dall'altra invece che bisogna sempre tenerli a Roma; la seconda è che non vi è una condivisione profonda sugli obiettivi politici e le pratiche. Quindi, comprendo i commenti sul mio blog e le perplessità espresse da più parti, ma fino a che non si condividerà un metodo sarà difficile procedere rispettando per esempio molte realtà locali che svolgono un lavoro storico molto importante e, che giustamente si sentono mortificate. Liquidare tutto con la solita manfrina della volontà egemonica di Arcigay e dall'altra con l'inconsistenza politica e numerica di alcune realtà locali che fanno molto rumore, ma poca sostanza, può essere per tutti noi consolatorio e non ci porta da nessuna parte. Arcigay non sarà mai d'accordo che il Pride nazionale si tenga esclusivamente a Roma, non perché c'è il Mieli o per una questione di concorrenza, ma perché ritiene che in questo paese il Pride nazionale svolga un ruolo sociale molto importante che aiuta, come abbiamo visto negli anni, intere comunità a crescere a cambiare le società dove operano. Questo toglie prestigio al Pride di Roma, al movimento romano? Affatto. L'errore di fondo, a mio modesto avviso, è che si carichi il Pride di elementi politici impropri. Se la nostra unica risposta politica annuale è il Pride, allora hanno ragione i nostri avversari quando indicano in quella manifestazione elementi che non centrano nulla con la presenza sociale degli e delle omosessuali italiane. A Roma, la capitale politica del paese, non si possono solo tenere Pride, che sono delle feste allegre e colorate, c'è bisogno di manifestazioni realmente rivolte alla politica. Il problema che non c'è la volontà di organizzarle, visto che solamente Arcigay negli ultimi anni, ha proposto iniziative di grande impatto anche mediatico, differenti dal Pride. Allora dobbiamo continuare a litigare sul dove si fanno i Pride o possiamo finalmente parlare del perché si tengono i Pride? Sulla titolarità di chi può indirre un Pride, voglio essere molto franco: non ce l'ha solo Arcigay nè solo il Mieli, ma neppure una pletora di associazioni raccolte alla bisogna per mostrare i muscoli (alcune delle quali nemmeno lgbt, e nate per l'occasione). Da tempo ho proposto una soluzione semplice e credo realmente democratica: si stacchi la gestione organizzativa dei Pride affidandola a un Comitato Organizzatore (come avviene in tutti i paesi del mondo) che finalmente possa lavorare con continuità e avendo a disposizione un calendario di Pride non improvvisato. Ci sia poi un luogo chiaro, convocato con regole certe e condivise, dove si assumono le decisioni rispetto alle città dove tenere i Pride nazionali (tenendo conto che Milano e Roma il pride lo fanno comunque tutti gli anni). E' tanto complicato? Per ora sì, perché prevalgono logiche di conflitto e il nodo su Pride nazionale sempre a Roma o no, non è per nulla sciolto. Quando è in atto un confronto del genere, si possono certamente formare partigianerie e, trovo infantile che vi sia qualcuno che si scandalizza, il fatto di essere gay, lesbiche, trans, non ci obbliga ad essere d'accordo e di prefiggerci gli stessi scopi. Cerchiamo però di trovare una strada condivisa. Non sarà facile, perché ci sono ferite recenti, che bruciano e sono difficili da rimarginare. In ultimo, solo per dovere d'ufficio, mi sembra che alcune rappresentazioni su Arcigay siano davvero impostate su pregiudizi, incrostazioni e non conoscenza. Quello che ha davvero importanza non è l'attuale presidente nazionale, ma che esista e continui ad espandersi una rete nazionale che è ormai presente in una cinquantina di città. Può non piacere, ma è un po' impolitico prescinderne o avere atteggiamenti di sufficienza. Come sono preziose esperienze locali, ma di valenza nazionale come il Milei, il Maurice, Digay Project ed altri, spero che non si pensi che Arcigay sia una variabile indifferente.
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Ndr. E' offensivo! Ecco cos'ha scritto un lettore nel blog di Mancuso: "La visione del Pride come momento di festa completamente avulso dalle rivendicazioni politiche mi lascia senza parole. Ma allora il 28 giugno (guarda caso la data del Pride) a Stonewall si giocava ad un gioco di guerra virtuale?" Come si fa a non concordare?
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