Si chiama "Polis Aperta". Il presidente: troppe discriminazioni. Agenti e militari fondano la prima associazione italiana. Venerdì 26 settembre, a Bologna, il primo incontro.
(Vera Schiavazzi - Il Corriere della Sera) Ministro La Russa aspettaci, stiamo arrivando. Poliziotti, Carabinieri, uomini e donne della Guardia di Finanza, dell'Esercito e dell'aeronautica gay e lesbiche escono allo scoperto anche in Italia, dopo una lunga stagione di incertezze e clandestinità. E venerdì 26 settembre, a Bologna, volteranno pagina: la loro associazione, «Polis Aperta», la prima e l'unica nel nostro Paese, riunirà il suo direttivo per darsi un nuovo Statuto e un programma di iniziative, in un grande coming out collettivo. Nonostante la decisione, presa anche in seguito alle pressioni degli altri gruppi europei, a cominciare dagli spagnoli di Gaylespol che hanno organizzato l'ultimo raduno internazionale a Barcellona, è ancora molto difficile trovare gay e lesbiche in divisa disposti a parlare, e non a caso per alcuni è più facile che per altri: Vito Raimondi, torinese, è un finanziere come il triestino Nicola Cicchitti, presidente di Polis Aperta. «Per molti di noi — racconta — il timore non è quello di una ritorsione violenta, quanto della discriminazione strisciante. E il disagio per il machismo quotidiano che chi è in divisa è costretto a vivere, fatto di battute e di linguaggi, lo stesso che le donne entrate nell'esercito e in Polizia hanno contribuito a cambiare, senza tuttavia riuscire a cancellarlo».
Oggi, gli aderenti a Polis Aperta che hanno un nome e un cognome e partecipano liberamente alle prime attività pubbliche dell'associazione sono circa duecento. C'è chi ha fatto il suo coming out personale pur essendo un Carabiniere, in uno dei corpi cioè ritenuti più tradizionali, e chi invece preferisce non comparire anche se nella vita fa il vigile urbano: «Non puoi sapere come reagiranno i superiori, ed è comunque difficile dimostrare che un trasferimento "punitivo" è arrivato perché si è scoperto che sei gay e non per "esigenze di servizio", come dice la motivazione ufficiale ». La regola italiana, dunque, è «non chiedere, non dire»: «Mi è capitato di incontrare in discoteca colleghi che appena mi vedevano si giravano dal-l'altra parte — spiega Raimondi —. Al Gay Pride di Biella ero con il mio compagno e un collega che fino a quel momento era rimasto ai margini della manifestazione vedendomi sotto il palco è venuto a salutarci. È stato un grande momento, la dimostrazione che dobbiamo renderci visibili». Una richiesta che viaggia anche attraverso la rete, negli appelli accorati di chi è entrato — dopo una richiesta e un filtro iniziale — nei gruppi di discussione del sito web.tiscali. it/polisaperta. Scrive «Genova in divisa»: «Caro gruppo, faccio quest'ultimo tentativo poi la smetto, perché mi pare di essere rimasto l'unico in tutta la Liguria... Se c'è qualche collega di qualunque corpo, civile o militare, mi farebbe molto piacere scambiare idee con lui su come si vive e si lavora a Genova essendo gay e portando una divisa». Giulio, nuovo iscritto dal Sud, aggiunge: «Vorrei confrontarmi con altri militari che si trovano a vivere la loro omosessualità tra mille difficoltà nelle caserme italiane ». Al ministro della Difesa, Polis Aperta chiede di poter essere riconosciuta come associazione mista e senza finalità sindacali, in modo da aggirare ogni divieto. All'ordine del giorno di Bologna c'è anche un programma di incontri e l'elezione di delegati regionali. Ma, soprattutto, l'idea di poter cambiare dall'interno una mentalità ancora prevalente tra le forze dell'ordine, creando gruppi di poliziotti gay («siamo una risorsa, non un problema») capaci di formare i colleghi insegnando loro a intervenire in caso di reati o violenze che riguardano gli omosessuali. Come già avviene in Spagna, dove sono i gay della Guardia Civil a tenere corsi anti- discriminazione.
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