Finora, incassare il contributo è stato facile: bastava dichiarare la tiratura, presentare un bilancio e poi aspettare la liquidazione della fattura. Le vendite non sono indispensabili. Ma in autunno il sistema subirà una rivoluzione. Al Dipartimento per l’Editoria il trio composto da Gianni Letta, Paolo Bonaiuti e Mauro Masi sta lavorando a uno schema di regolamento che sarà presentato nei primi giorni di settembre (qui la bozza in .pdf).
Non sarà più la tiratura ma la diffusione certificata (vendite e abbonamenti) a stabilire l’importo dell’assegno. Questa semplice regola darà un taglio alle vendite in blocco delle copie stampate (oggi praticate da tutti i gruppi editoriali) e ai non isolati casi di giornali che esistono solo sulla carta e non hanno mai visto un’edicola o un giornalista regolarmente retribuito.
L’elenco dei beneficiati, spiega Panorama, è sterminato: giornali di partito, testate legate a movimenti politici, cooperative (vere e presunte) di giornalisti, quotidiani editi da società controllate da fondazioni o enti morali…
Qualche cifra? In sette anni l’Unità ha incassato 43 milioni; Libero 39,247 milioni; il Riformista 10 milioni (ma solo a partire dal 2003); Avvenire, quotidiano della Cei, testata ammessa dal 2001 , 6,3 milioni; Il Foglio oltre 25 milioni; il manifesto (cooperativa) circa 30 milioni; la Padania 28 milioni.
Né mancano casi eclatanti come La Discussione, giornale fondato da Alcide De Gasperi (15,148 milioni); Linea, organo del Msi-Fiamma tricolore (quasi 16 milioni); il Campanile nuovo, organo dell’Udeur, (quasi 6 milioni); o l’Opinione delle libertà, diretto da Arturo Diaconale (13,542 milioni).
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