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lunedì 5 maggio 2008

Milano. «Des gens qui dansent», le anime nella danza di Jean Claude Gallotta.

Sul palco del teatro degli Arcimboldi lo spettacolo del 2006 del coreografo francese, dove coinvolge artisti professionisti e persone di varie generazioni senza esperienza. Energie positive e uno sguardo sempre avanti in un curioso gioco di specchi.

(Francesca Pedroni - Il Manifesto) «Lo spirito della danza non ha colore, né forma o dimensione, ma abbraccia il potere dell'armonia, la forza e la bellezza che sono dentro di noi. Ogni anima che danza, giovane, vecchia o che conviva con una disabilità, crea e trasforma le idee in vita che si rinnova nell'arte del movimento...» Con queste parole inizia il messaggio scritto dalla coreografa sudafricana Gladys Faith Agulhas per la Giornata Internazionale della Danza del 29 aprile, istituita dall'Unesco nel 1982 in concomitanza con l'anniversario di nascita del teorico del ballet d'action del Settecento Jean-George Noverre.
A leggerlo a Milano sul palco degli Arcimboldi è stato martedì sera il coreografo afro-brasiliano Ismael Ivo, direttore del Festival Internazionale di Danza della Biennale di Venezia, che ha così introdotto Des gens qui dansent di Jean Claude-Gallotta, spettacolo conclusivo delle Giornate della Danza promosse dal Comune di Milano e curate da Arci Milano e ArtedanzaE20. Una tre giorni densa di appuntamenti tra lezioni aperte nelle scuole della città, performance per strada e sui tram, il coinvolgimento di compagnie e strutture come AiEp di Ariella Vidach, Danae Festival, Uovo Performing Arts e il nuovo festival Exister che con Sieni all'Out Off ha registrato lunedì un affollato esaurito.
Des gens qui dansent porta la firma di Gallotta, nome storico della danza francese dai primi anni Ottanta. Spettacolo del 2006, chiude una bella trilogia dedicata dal coreografo attivo a Grenoble alla riflessione sulle età della danza e al rapporto di esse con la vita reale. Gallotta coinvolge danzatori professionisti e persone di varie generazioni senza preparazione nella danza, donne e uomini che insieme ci consegnano, con il movimento, con le parole, anche con il solo fatto di stare sulla scena, un'energia positiva, uno sguardo che sprona in avanti. Da Pina Bausch con i suoi ultrasessantenni in quel miracolo di potenza sulla vecchiaia che è Kontakhof Mit Damen und Herren ab '65 al butoh del maestro centenario giapponese Kazuo Ohno, a esperienze di molti altri artisti della scena di oggi, passa al pubblico il segnale che, nella sua globalità estesa oltre le esigenze strette del balletto classico, la danza abbia qualcosa da dire al di là della perfezione fisica giovanile. Non è un caso che Gallotta a metà del suo spettacolo ci regali la proiezione di un'intervista allo scrittore Henry Miller sul letto di morte: Je suis en train de mourir et je suis vivant jusqu'au bout, «sto per morire e sono vivo fino alla fine», una verità che nel dolore è carezza, qualcosa che accomuna grandi e meno grandi che muoiono, un legame alla vita di cui la danza, il movimento è partecipe.
Alcuni tempi un po' lunghi nello spettacolo, come il trio femminile con l'uomo alto, e qualche cliché del teatrodanza anni Ottanta (scarpe con il tacco messe e tolte) fanno calare qua e là la tenuta emotiva, ma nel complesso lo spettacolo ha i suoi punti comunicativi di forza, complice anche la presenza funambolica dello stesso Gallotta, narratore, cantante che strizza l'occhio al rock, guitto che cammina tra le autentiche persone che ha voluto con sé sul palco. «Devo dire qualche cosa... Devo fare qualche cosa... Forse una piccola danza» - dice. «I ballerini stanno arrivando» è la frase conclusiva dello spettacolo a ricordarci che Des gens qui dansent è un gioco di specchi tra la vita degli spettatori e quelle al di là della quarta parete.

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