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lunedì 7 gennaio 2008

Preti e pedofilia. Natale e Capodanno in cella a Gibuti per il missionario trentino don Sandro De Pretis.

Don Ivan Maffeis si è recato a Gibuti per visitare il sacerdote, la cui situazione si aggrava: “Sono caduto in trappola. Difficile difendersi da accuse inesistenti. Ho poche possibilità di avere giustizia”. Il caso si è complicato ulteriormente.

(Barbara Marino - Korazym.org) Si è svolta nella mattinata del 29 dicembre, nel tribunale di Gibuti, l’udienza per don Sandro De Pretis, 52 anni, sacerdote trentino in carcere a Gibuti, piccolo paese del Corno d’Africa, dal 28 ottobre scorso. “Scosso e amareggiato, con la netta impressione che il giudice voglia arrivare presto a una condanna per pedopornografia”. Così mons. Giorgio Bertin, vescovo di Gibuti, ha descritto l’umore di don Sandro De Pretis all’uscita di una seduta lunga, alla quale il missionario trentino si è presentato provato, dopo due mesi e un giorno di detenzione in isolamento. “L’udienza era fissata per le 9 ed era a porte chiuse - spiega il vescovo -. Io sono arrivato a Palazzo di Giustizia di Gibuti intorno alle 10 e ho pazientato quasi un’ora prima che don Sandro uscisse. Sono rimasto con lui e l’ho riaccompagnato in carcere: mi ha raccontato che il giudice ha voluto prendere in esame diverse foto di quelle contenute nel suo computer e sulle quali basano le accuse, non ancora formalizzate, di pedopornografia”.
Ora per il religioso trentino l’accusa è di “incitamento alla depravazione e alla corruzione di minori” e, dopo il recente interrogatorio, alle tre foto con bambini che gli erano state inizialmente contestate e che avevano fatto partire l’inchiesta per pedofilia, se ne sono aggiunte altre 15. “Mio fratello durante l’interrogatorio ha continuato a ripetere - ha spiegato il fratello Guido - che quelle nuove foto che gli sono state mostrato dal giudice non le aveva mai viste prima. Ora, tramite l’avvocato, vorremmo capire da dove sono sbucate, quando sono apparse sul disco fisso, che da mesi la polizia locale sta analizzando”.
L’inchiesta, dunque, prosegue secondo il filone iniziale, che mons. Bertin ha sempre definito “pretestuoso e assurdo”. Con ogni probabilità, il missionario trentino è il capro espiatorio di una vecchia vicenda, che ha coinvolto la Caritas e una Ong locale sfrattata dalla stessa Caritas in maggio, poco prima che iniziassero a circolare strane “voci” su don Sandro. “L’inchiesta dovrebbe volgere al termine - ha proseguito il vescovo di Gibuti - ma l’impressione di don Sandro è che il giudice voglia arrivare a una condanna. La posizione della magistratura, dopo l’intervento della Curia e della Farnesina, si sarebbe addirittura irrigidita. Ma questo potrebbe preludere anche a una via d’uscita: alla condanna non è escluso che segua la grazia o l’espulsione, anche se un accordo chiaro in questo senso tra Italia e Gibuti non è mai stato fatto”. La pena inflitta, se don Sandro dovesse essere rinviato a giudizio e affrontare il processo con esito negativo, potrebbe però superare i dieci anni. “Tutto sarà commisurato alla gravità degli atti presentati dal magistrato a chiusura delle indagini - chiarisce monsignor Bertin -. Ma se i capi d’accusa dovessero essere quelli ventilati, il giudice potrebbe avere la mano pesante. Don Sandro era molto scosso e amareggiato, al termine dell’udienza, e nonostante la fede credo sia pessimista. Domani parlerò con l’avvocato”.
Il missionario trentino era in attesa, per il giorno seguente, di una visita gradita: “So che è in arrivo don Ivan Maffeis, portavoce dell’arcivescovo di Trento, mons. Luigi Bressan e direttore del settimanale diocesano Vita trentina - confermava mons. Bertin -. Ieri, invece, ho ricevuto una telefonata dal segretario personale dell’arcivescovo di Trento che mi chiedeva informazioni circa i voli aerei: probabilmente la Curia sta pensando di mandare il vicario generale a Gibuti, magari accompagnato dal fratello di don Sandro”. “Per quanto mi riguarda ho fatto slittare di qualche giorno la mia partenza per Gibuti - ha chiarito il fratello Guido - dato che attualmente sul posto è presente don Ivan Maffeis e verso il 10 gennaio il vescovo di Gibuti, mons. Giorgio Bertin, dovrebbe incontrare il papa e relazionare sulla situazione di mio fratello. Questo ovviamente se qualcosa non si muoverà prima”.
Intanto, don Ivan Maffeis ha potuto incontrare in carcere a Gibuti don Sandro e proprio su questi incontri avuto con don Sandro, don Ivan ha inviato delle E-mail all’arcivescovo di Trento, mons. Bressan, per aggiornarlo. “Mi hanno riferito che mio fratello è provato - racconta Guido De Pretis - e che sta maturando la convinzione che il giudice voglia condannarlo. Mi sembra veramente il processo di Kafka”. Sono giorni che la famiglia non sente don Sandro. Nonostante le numerose lettere inviate, al momento, a parte la missiva ricevuta ormai parecchie settimane fa, non hanno ricevuto alcuna risposta. Nei suoi resoconti, don Ivan ha descritto anche le condizioni in cui si trova don Sandro nel carcere: “La cella misura 4 passi per 7. Il materassino posato sul pavimento, portato da fratel Paolo, il segretario del vescovo, è l’unico ‘arredo’. In un angolo, una latrina ed un secchio. Don Sandro inganna il tempo con la lettura di quello che gli capita sotto mano: ‘Ho appena terminato il Purgatorio di Dante, ora sarei contento di passare al Paradiso … Mi rendo conto - dice il missionario - che da parte della magistratura non c’è la volontà di chiarire. Avverto piuttosto un’ostilità crescente. Se veramente si arrivasse a breve ad un processo, so già che ne uscirò condannato’”.
La sera del 3 gennaio don Ivan Maffeis avrebbe dovuto lasciare l’Africa, per rientrare a casa, ma il direttore del settimanale diocesano Vita Trentina è rimasto “bloccato” a Gibuti. Colpa dei controlli cui è stato sottoposto dai secondini del carcere nel quale era andato a trovare don Sandro De Pretis, che si sono protratti talmente tanto, da impedirgli di imbarcarsi. Don Maffeis si era recato a Gibuti per visitare il sacerdote trentino rinchiuso da ormai 65 giorni in carcere, con accuse che il missionario ha sempre respinto: “Mi sento preso in trappola - ha detto - anche se sono consapevole della mia estraneità alle accuse che mi vengono rivolte”. Proprio nei racconti che aveva inviati, don Ivan aveva descritto i controlli ferrei del corpo di guardia: “Cosa scrivi?’. La domanda resta nell’aria. Il capo delle guardie mi strappa il taccuino e lo sfoglia con sospetto. ‘Che lavoro fai? Sei forse un avvocato? E allora chi sei? Perché tu possa uscire devo prima trovare un gibutino che conosca l’italiano e che sia in grado di tradurmi i tuoi appunti …”. Anche il 3 gennaio, quando don Ivan si era recato nel carcere per un ultima visita a don Sandro, le guardie lo hanno trattenuto per capire cosa avesse scritto. Controlli che si sono protratti moltissimo, creando un comprensibile stato di apprensione nel direttore di Vita Trentina. Alla fine, quando don Maffeis ha potuto lasciare il carcere, era ormai troppo tardi per salire sull’aereo.
Da Diego Andreatta, della redazione di Vita Trentina abbiamo appreso, che don Ivan Maffeis si è spostato da Gibuti in Eritrea, da dove prevedibilmente stasera rientrerà in Italia. Non ci sono al momento ulteriori notizie, se non i due resoconti degli incontri con don Sandro De Pretis nel carcere di Gibuti, da lui inviati e che pubblichiamo integralmente qui di seguito. Probabilmente, il direttore del settimanale diocesano Vita Trentina sarà disponibile lunedì per ulteriori informazioni.

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