La situazione resta ancora molto ingarbugliata e le posizioni dei partiti (specialmente i più rappresentativi) sono molto distanti: da sinistra si chiede un governo di transizione, da destra le urne. Chiusi gli incontri con le delegazioni parlamentari, Napolitano, nel pomeriggio di martedì, potrà chiedere consiglio ai suoi predecessori (Francesco Cossiga, Oscar Luigi Scalfaro e Carlo Azeglio Ciampi). Impresa ardua dare un consiglio in un frangente così difficile o proporre una ricetta.
Ci ha provato, sparigliando le carte, il direttore del Foglio, Giuliano Ferrara. Che intervistato alle 20.00 di domenica 27 dal Tg1 butta lì “l’uovo di Colombo”: sia Veltroni a chiedere di guidare un governo per le riforme per cercare poi in Parlamento una maggioranza. Di più, secondo Ferrara, questa sarebbe un’ipotesi già in discussione nei corridoi del Parlamento e del Quirinale. Anche se, precisa il direttore: “Io credo che non ci siano le condizioni e sia più razionale andare al voto”.
A sostenere la tesi veltroniana di un governo a termine, ma in grado di fare la riforma elettorale, c’è anche L’Unità, giornale diessino, che nell’editoriale firmato da Pietro Spataro prima bacchetta Silvio Berlusconi (definito il “grande distruttore”) e poi sposa l’”ottimismo della volontà” difronte al “pessimismo dell’intelligenza” (frasi gramsciane citate ieri anche dal presidente della Camera, Fausto Bertinotti). Ricordando “ai lettori (e agli elettori) che la legge elettorale che ora tutti vogliono cambiare perché è una vera ‘porcata’ l’hanno voluta loro, Berlusconi e i suoi. Così, tanto perché si sappia chi è che ha fatto a pezzi le regole del gioco e contribuito a combinare questo bel pasticcio”.
Chi punta invece su un “governo del presidente”, è uno dei grandi vecchi del giornalismo italiano, Eugenio Scalfari, che al termine di un lunghissimo editoriale su Repubblica lancia l’idea di un esecutivo guidato da una personalità scelta da Napolitano, anche senza nessun accordo con le diverse forze politiche, che vada a presentarsi in Parlamento per chiedere la fiducia. A quel punto, o ottiene la maggioranza, oppure si va alle urne con il governo deciso dal Quirinale a gestire la campagna elettorale. Scalfari cita anche alcuni precedenti, e il più calzante sembra il primo, quello del governo Pella del 1953 deciso in solitudine da Luigi Einaudi. Una stagione difficile, seguita alla sconfitta elettorale di Alcide De Gasperi (la posta in palio anche a quell’epoca era la legge elettorale), e che venne avvelenata da quell’oscuro episodio che fu il delitto Montesi.
Invita invece a “Non perdere altro tempo”, l’editorialista del Corriere della Sera, l’ambasciatore Sergio Romano. Il quale, partendo dal presupposto che “è molto difficile, salvo un nuovo miracolo italiano, che il residente della Repubblica riesca a indirizzare la crii verso la formazione di un governo tecnico”, dopo approfondita analisi, conclude con questo consiglio: “è meglio chiedere questa brutta partita con nuove elezioni, il più presto possibile. La legge elettorale è pessima ma gli italiani + possono pur sempre servirsene per fare una scelta di campo e dire, per esempio, quale sia il peso del Pd nella politica nazionale.
Torna all’esempio storico, Marcello Sorgi, ex direttore e oggi firma di punta de La Stampa. Il richiamo - nonché la soluzione per uscire dall’attuale impasse, secondo Sorgi - è infatti al governo Fanfani V del 1983: “Nato con un programma minimo e un orizzonte temporale limitato, sostenuto da una fiducia a termine e trasformatosi, in corso d’opera da ‘governo del presidente’ a governo elettorale”. Una strada percorribile, secondo Sorgi, visto che il “minimo comune denominatore tra i partiti che già fiutano l’atmosfera della campagna elettorale” è quella di riformare la legge elettorale che eviti l’ingovernabilità, qualunque sia a vincere le ormai prossime elezioni.
Elezioni che infine chiede anche Il Giornale, per il quale rinviare il voto (come auspica il leader del Pd) sarebbe una trappola per fermare la Cdl: “Non si vedono possibilità per un governo che si occupi rapidamente solo della legge elettorale. Per una operazione del genere occorrerebbe una intesa di maggioranza che non c’è e non ci sarà di sicuro, viste le profonde divergenze che esistono. Dunque, le elezioni sono obiettivamente la strada più logica, più percorribile nonostante le tante opinioni contrastanti. La legge in vigore sarà discutibilissima, ma per ora quella c’è. Del resto non è forse quella che nel 2006 ha dato la vittoria, sia pure di strettissima misura, al centrosinistra? È francamente strumentale addebitarne i difetti a Berlusconi. Diciamo la verità: il tempo per riformarla lo si pretende per sfiancare un avversario che in questo momento ha con sé la maggioranza del Paese. Ma sì, pur con la pessima legge elettorale che c’è, andiamo presto a votare, il Paese vuole decidere da chi e come essere governato. Questa democrazia sarà pure piena di difetti, ma come diceva Churchill non ce n’è un’altra migliore”.
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