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sabato 22 settembre 2007

"Non vendo Esselunga e denuncio le Coop"

(Il Giornale) - Geminello Alvi presenta il suo libro come fosse un monumento, già consegnato alla storia: «È il più bel testo di economia mai letto, perché racconta la vita dell’ultimo imprenditore ancora operoso che ha fatto il miracolo economico in Italia». Bernardo Caprotti allontana immediatamente quel necrologio con un plateale segno della croce. Poi prende il microfono e non lo molla più per oltre un’ora. Niente male, come prima conferenza stampa della sua vita. «Vorrei cominciare - è l’esordio - dal 19 gennaio 2007 - quel giorno sono andato a Bruxelles dal commissario Ue alla concorrenza Neelie Kroes e le ho raffigurato lo scenario di distorsione del mercato realizzato da amministratori pubblici e Coop attraverso un vero e proprio controllo del territorio». Chiaro?
Se all’età di 81 anni, quasi 82, si sente il bisogno di entrare nell’arena dei media e di scrivere un libro come quello che ha fra le mani, Falce e carrello, un motivo ci sarà. «A Livorno avevamo individuato una bella area, ma a Livorno Esselunga non può entrare. Si chiama controllo del territorio. E a Bologna peggio: ci eravamo accordati col signor Goldoni, quello che faceva i preservativi, poi sono saltati fuori i reperti etruschi. Eccoli». E Caprotti alza le foto ad uso dei fotografi e dei giornalisti che affollano all’inverosimile il salone del grande albergo in cui è in corso lo show.
«Reperti preziosi, preziosissimi, la testimonianza di una fattoria di 2500 anni fa. La Sovrintendenza ha messo il vincolo, dopo un po’ sbuca la Coop e la Sovrintendenza ha tolto il vincolo». Scandisce ad arte le parole, accelera e frena con consumata perizia, artiglia espressioni in dialetto e quando vuole mostrare tutto il disprezzo per il Paese che si riflette nelle Coop vola alto con l’inglese che profuma di libertà, concorrenza e, già che c’è, anticomunismo.
«Voi mi capite? Questa è distorsione della concorrenza, anzi distorsione della Repubblica». E si ripete subito con terminologia anglosassone. «Abbiamo denunciato questo sistema a Bruxelles, la Ue sta studiando la pratica». E la magistratura italiana è mai stata chiamata in causa? «Ma cosa volete, non ci abbiamo mai pensato, ci vogliono prove precise e spesso non ci sono, ma adesso lo faremo, andrò in Procura per raccontare un recentissimo episodio».
In sala si affaccia Giulio Tremonti che, discreto, resta in piedi in un angolo, ma lui, abituato a comandare da una vita, improvvisa un siparietto con un alto dirigente del suo gruppo: «Dai alzati, che hai solo 70 anni e lascia il posto a Tremonti». Poi ne ha anche per l’ex ministro, rappresentante della casta dei politici: «Adesso stanno spacchettando la Provincia di Milano, ma perchè non spacchiamo in quattro anche il Comune di Milano, e facciamo quattro province come fanno i Rotary: così ci sarà Milano Nordovest e via dicendo con quattro prefetti, quattro questori e tutto il resto».
Più che una conferenza stampa è una successione di fuochi d’artificio. Ma sì, Caprotti, sbucato improvvisamente dai banconi dell’Esselunga, è un personaggio straordinario: non parla, racconta, e cattura l’attenzione con quell’eloquio fluviale e coloratissimo in cui c’è spazio per la signora di Cernusco Lombardone e per il presidente della Repubblica. Capita quando gli chiedono se si deciderà a vendere il suo gioiello: «Ma io sono ancora capace di vendere i prodotti. Lavoro 12-13 ore al giorno, sono diventato un burocrate, però sono riuscito a vendere ad una signora di Cernusco Lombardone gli asparagi del Perù, che sono buonissimi, ma lei non ci credeva e non si fidava. Alla fine l’ho convinta e glieli ho venduti». Risata in sala. Applauso.
Lui è già oltre, con tutta la perfida ironia di cui è capace: «Ma perché mi volete far morire per Natale o per Pasqua? Scusate, l’anno scorso è stato eletto presidente un signore mio coetaneo. Lui lavora molto: si occupa degli incendi, dell’Ungheria, di Grillo, si occupa attivamente delle Coop. Poi va in Tv, anche due volte al giorno. Lavora come me, forse anche di più. Sarà perché ha i corazzieri ma nessuno gli chiede se morirà a breve. E perché a me sì? Io mi diverto un mondo a far girare questa baracca».
Altra risata. Il rebus non è sciolto. E lui pattina fra i concetti: «Ci sono due modi per garantire la governance in un’azienda: la vendita o la quotazione in Borsa. Non è stato fatto nessun passo, nessuno step, nè in un senso nè nell’altro. Ci potremmo quotare in Borsa. Sulla vendita non si può dire nè sì nè no, non è una questione di soldi, ma di chi potrebbe comprarla. Ci sono solo tre o quattro gruppi in Italia e nel mondo che potrebbero prendere l’Esselunga e tenerne lo spirito. Gli altri sono dozzinali».

Addirittura? Il vegliardo, come si autodefinisce con impareggiabile autoironia, non si fa certo problemi a fare i nomi: «Prendiamo l’americana Wal-Mart. Wal-Mart è l’antitesi dell’Esselunga: è un discount del Midwest, la clientela è quella che è». Vale a dire di pelle nera: «Come non si può chiedere a un tedesco di ballare la samba - dice afferrando almeno un paio di concetti politicamente scorretti con una sola frase - così non si può chiedere a un nero di fare il meccanico della Bmw». E così sistema in un colpo solo i neri e Wal-Mart. Insomma, nessun matrimonio o anche solo fidanzamento è alle viste, ma molti sono i pretendenti respinti: «Ho detto di no anche a Carlo Pesenti, consigliere delegato di Italcementi. Andiamo a caccia assieme volentieri, ma lui fa cementi mentre quello del retailer è un mestiere che può fare solo chi è colpito dal bacillo».
Sì, il fondatore è ancora saldamente in sella: in bilico fra i «mi consenta» che ricordano il Cavaliere e certe gag alla Mike Bongiorno. «Nel 2004 una gang di manager ha cercato di impadronirsi dell’Esselunga, ma l’abbiamo scoperta e li abbiamo buttati fuori». Ora resta il nemico rosso: «Sono entrato nelle Coop, a Genova, per esempio, e ho visto melanzane che avevano la faccia di Caprotti, pomodori che facevano il sugo, zucchine marroni. Ecco perché ho avuto l’impulso etico di scrivere Falce e carrello».


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