(Chiara Saraceno - La Stampa) Non ci si dovrebbe sorprendere che Famiglia Cristiana critichi il governo per la mancanza di una politica di contrasto alla povertà e più in generale per una diffusa indifferenza, quando non criminalizzazione dei poveri. O che denunci una diffusa indifferenza per le difficoltà quotidiane delle famiglie con redditi modesti. Queste alla ripresa autunnale si troveranno alle prese non solo con gli aumenti degli alimentari di base, delle tariffe della luce e del gas, ma anche delle rette nei nidi e nelle scuole materne e magari di qualche taglio alla già scarsa assistenza domiciliare per le persone non autosufficienti. Le ristrettezze di bilanci locali falcidiati, tra l’altro, dall’eliminazione dell’Ici possono infatti essere compensate solo fino a un certo punto dall’eliminazione di sprechi e inefficienze. La difesa dei più poveri e dei più fragili dovrebbe essere la prassi normale di una rivista d’ispirazione cattolica. Ciò che sorprende è che lo faccia solo ora. Dopo mesi e mesi in cui il tema più caldo su cui l’autorevole rivista ha battuto con una sistematicità e un vigore (spesso anche livore) degni di miglior causa è stato la difesa della «famiglia tradizionale», tout court definita come naturale. E la denuncia della pericolosità dei pochi difensori di una cultura laica che ancora osano parlare nel nostro Paese. Chi oggi si stupisce e si offende per la violenza delle accuse era ben contento quando dagli stessi pulpiti, e talvolta dalle stesse persone, chiunque avesse una visione meno univoca della famiglia e dei rapporti tra le persone, meno apodittica sulle questioni che riguardano la vita e la morte, veniva e viene tacciato d’immoralità e malafede. Quando non veniva identificato come pericoloso per gli stessi fondamenti del vivere sociale.
Sul ruolo di defensor fidei e defensor ecclesiae della destra si è giocata, da ambo le parti, una partita non limpida in cui ciascuno ha pensato di usare l’altro. Subito dopo la formazione del governo, c’è stata la delusione per la mancanza di «ministri riconoscibilmente cattolici», espressa anche da Famiglia Cristiana. Le corrisponde specularmente oggi la delusione dei politici al governo per le critiche della rivista. Essi si vedono sfuggire una legittimazione che avevano creduto di aver conquistato durevolmente con la promessa (esplicitata formalmente anche da Berlusconi all’atto della sua prima visita in Vaticano) di non toccare il diritto di famiglia e di «compiacere la Chiesa» in tutte le norme che riguardano i temi di bioetica.
In realtà, ciò che i politici italiani di destra, sinistra e centro non sembrano capire è che le istituzioni cattoliche in Italia, con tutte le loro anche importanti differenze, condividono la pretesa del monopolio di definizione dei valori e delle norme appunto sulle questioni che riguardano la famiglia, la sessualità, l’origine e la fine della vita. Su questo sono disposti anche alle alleanze più spregiudicate e a giustificare ogni forma di doppia morale, oltre che a far cadere governi. Sul resto, si tengono le mani libere e possono far valere le proprie differenze.
Proprio perché la Chiesa cattolica ha vinto nella partita più importante, quella della famiglia e dei temi bio-etici, per altro anche con la connivenza di un centro-sinistra impaurito e afono, Famiglia Cristiana può oggi dare voce alla sua anima più sociale. Meglio questo che nulla. Ma non facciamone una sorta di paladino della libertà e della democrazia, neppure quando usa parole forti e forse fuori luogo, come l’accusa di fascismo. Soprattutto spero che l’opposizione non la usi per cercare di (ri-)legittimarsi. Sarebbe ben triste e rischioso per la nostra democrazia che, dopo aver di fatto delegato alla Chiesa e ai cattolici (in primis a quelli del Pd) la definizione dei limiti della laicità, ora l’opposizione delegasse a Famiglia Cristiana la critica all’azione del governo.
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