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venerdì 1 agosto 2008

Christopher Isherwood e di Don Bachardy. La più bella coppia gay nella Hollywood degli anni '50.

Christopher Isherwood and Don Bachardy: Chris & Don.

«Chris e Don, a love story» di Guido Santi e Tina Mascara. Trent'anni di differenza di età e una vita da inseparabili. La storia di Christopher Isherwood e di Don Bachardy, in questi giorni nelle sale Usa, viene raccontata attraverso un materiale inedito, decine di ore di pellicola a colori, girata da loro stessi o dagli amici. Ecco allora le feste con Anthony Perkins e Montgomery Clift, i tuffi in piscina con Stravinskji, l'incontro a Tangeri con Paul Bowles.
(Luca Celada - Il Manifesto) Quando Christopher Isherwood arrivò a Los Angeles nel 1939 in cerca, come scrisse all'epoca, «di una nuova patria artistica», finì nel mondo solare e slavato delle colline hollywoodiane, le spiagge di Santa Monica lontane anni luce dalla fuliggine dell'Europa sul baratro della guerra. Trovò una Hollywood nel pieno fermento pre-maccartista, piena di intellettuali attirati, i più solo temporaneamente, dalle sirene dello «studio work» e la promessa dei soldi fatti col cottimo delle sceneggiature, da Fitzgerald a Faulkner a Brecht. Ma Isherwood - già acclamato per il suo Goodbye Berlin, che proprio da Hollywood verrà poi adattato nel Cabaret di Bob Fosse - fu l'unico a non denigrare i movies e anzi ad ammettere di aver appreso, dal lavoro di sceneggiatura, sintesi ed economia del linguaggio, una scrittura cinematografica. Lo apprendiamo in Chris & Don, a Love Story, l'esauriente ed emozionante documentario di Guido Santi e Tina Mascara uscito nelle sale americane, un film lontano dalla pura biografia che narra di Isherwood e di Don Bachardy, il giovane adolescente di cui nel 1950 si innamora su una spiaggia di Pacific Palisades e con cui instaura una storia di amore e di creatività che - sullo sfondo di una Hollywood glamour e intrigante - dura una vita intera e più.

Il documentario si avvale di un vero tesoro scovato da Santi e Mascara: decine di ore di pellicola 16mm a colori inedita, girata dalla stessa coppia e dai loro amici hollywoodiani. Il materiale ci regala le scene più preziose del film: irrorati di luce californiana, diafana come una ballata di Chet Baker, ecco Chris e Don sul bordo della piscina con Igor Stravinskij, in riva al mare con EM Forster, alle feste con Anthony Perkins e Montgomery Clift. Don e Chris in crociera per Londra che si fermano a Tangeri in visita a Paul Bowles, sul set di John Ford a Monument Valley e ancora in straordinarie immagini mai prima viste, sul set de La Rosa Tatuata, ospiti dell'amico Tennessee Williams, con Anna Magnani e Burt Lancaster a Key West. Materiale di inestimabile valore filologico e storico, tra l'altro, per la scene gay (o queer che era il termine favorito all'epoca) di cui Isherwood e Bachardy divennero gli alfieri, la coppia più «out» in una Hollywood ancora profondamente «in the closet».

Un'omosessualità vissuta apertamente, quindi in modo rivoluzionario, da Isherwood e dal giovane amante con cui instaura il rapporto di padre/compagno, maestro/amico, soffuso di tenerezza, che è un filo conduttore del film e della storia. Ecco i viaggi: Londra, Parigi, Venezia; gli amici importanti, Truman Capote, Somerset Maugham, Aldous Huxley e i salotti letterari in cui Isherwood plasma l'amante-ragazzo, che giunge ad assumere i gusti, i manierismi, perfino l'accento di Cambridge, una «effettiva clonazione», come nel film rammenta John Boorman, uno dei tanti amici della coppia a portare la loro testimonianza.

Più che guidare, i registi invitano il nostro sguardo in una storia letteraria, eccezionalmente intima, raccontata da Bachardy, oggi pittore affermato della generazione di David Hockney (autore del celebre ritratto della coppia seduti sulle poltrone di vimini nella loro casa di Santa Monica). Affabile e brillante, confessa alla cinepresa i propri ricordi con struggente lucidità, rievocando una vita artistica vissuta appieno e un amore ugualmente appassionato. Nella città adottiva di Los Angeles abbiamo incontrato Mascara e Santi, quest'ultimo genovese, formatosi all'Ipotesi Cinema di Ermanno Olmi prima di studiare cinema alla Usc.

Qual è stato l'elemento cruciale per il successo del film?
Nel fare un documentario è importante un rapporto di fiducia con il soggetto, con le persone che partecipano al lavoro. Con Bachardy il fatto di aver instaurato un'amicizia ci ha sicuramente aiutati perché il film è Don Bachardy. È lui a narrare la sua storia, la sua relazione con Isherwood. E anche le difficoltà che questa comportava, come quando, appena ventenne, doveva ancora trovare la sua vocazione di artista. Si è dato interamente al film e se il documentario ha dei momenti emozionanti è perché Don è stato estremamente generoso con noi e non ha mai cercato di evitare le domande, anche indiscrete, che gli abbiamo rivolto. Credo che il film - per quanto sia comunque un documentario d'amore - non sia sentimentale, non vuole essere un testamento sdolcinato. È anzi abbastanza onesto nell'affrontare gli alti e i bassi di un rapporto che in realtà è come tutte le altre relazioni affettive, al di là dell'orientamento delle persone, uomo-donna, donna-donna o uomo-uomo.

Avete usufruito di uno straordinario repertorio...
Un giorno, dopo una cena, mentre raccontava dei loro viaggi, Bachardy mi ha mostrato tutto questo materiale girato... Era stato realizzato durante il viaggio intorno al mondo che avevano fatto nel 1955. Era in un cassetto, nella bella casa davanti all'oceano, un materiale prezioso che nessuno aveva visto. Temevo che si fosse ormai ossidato, invece era perfetto e dentro c'erano personaggi come Igor Stravinskij, Anna Magnani, Burt Lancaster, Maugham, Forster, attori e scrittori di Hollywood. A quel punto, siamo stati quasi obbligati a procedere col progetto.

Poi c'è la tematica omosessuale.
Bisogna ricordare che negli anni '50, loro sono stati apertamente gay, non hanno mai nascosto la loro relazione, cosa allora piuttosto inconcepibile. Ci affascinava la dinamica di questa coppia omosessuale in quegli anni, oltretutto c'era quella differenza di età fra loro due... Infine, erano artisti inseriti in una realtà intelletuale di Hollywood che loro stessi hanno documentato con i film che abbiamo usato.

In effetti, tutto sembra un film...
Werner Herzog ha sempre detto che i documentari sono film narrativi mascherati. In realtà, sono solo un pretesto per raccontare una storia e in fin dei conti è proprio quello che abbiamo fatto.

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