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domenica 3 agosto 2008

Catania. "Scrivi poesie, quindi sei gay". Stuprato in carcere dai boss.

Era in un penitenziario catanese: «Gli omosessuali vivono nel terrore»-
(La Stampa) «Scrivere poesie è da arruso, da finocchio, e così meriti di essere sodomizzato». Detto fatto. Un gruppo di otto mafiosi ha punito l’affiliato «scrittore di versi» con violenza di gruppo su un ragazzo, peraltro anche lui membro del clan , per il solo fatto che scriveva poesie. Il tutto è avvenuto in un carcere, Piazza Lanza a Catania, oltre due anni fa, ma solo oggi l’avvocato del giovane violentato ha deciso di renderlo pubblico davanti alle telecamere di Klauscondicio, la trasmissione di Klaus Davi su You Tube.
A parlare al massmediologo è Antonio Fiumefreddo, noto penalista, ma anche sovrintendente del Teatro Bellini di Catania. «Ho deciso di rendere pubblico il fatto dopo la denuncia del giudice Antonio Ingroia, che ha rivelato come i boss, anche solo sospettati di omosessualità, vivano in un clima di terrore. Ingroia ha ricordato il caso di Johnny D’Amato, boss mafioso usa, assassinato perchè gay. Ma non è il solo caso. Io ne so qualcosa visto che nella mia carriera ho difeso un ventenne indagato per associazione mafiosa e detenuto nel carcere catanese di Piazza Lanza. Il ragazzo - racconta Fiumefreddo - scriveva poesie e aveva modi che potremmo definire effeminati. Non so nemmeno se fosse omosessuale, ma per il suo modo di essere, per la sensibilità artistica e le sue poesie d’amore, venne ritenuto dagli altri detenuti omosessuale e venne trattato in carcere come tale. Fu violentato da un gruppo di otto detenuti, tutti in carcere per gli stessi reati, e fu costretto al ricovero in infermeria. Oggi - rivela a Klaus Davi l’avvocato Fiumefreddo - il ragazzo è ancora in carcere, ma per quell’episodio non ci fu alcuna conseguenza o punizione per i suoi aggressori».

Come è possibile, ha incalzato Davi, che simili reati restino impuniti? «Spesso - ha dichiarato Fiumefreddo - il tutto si riduce ad una segnalazione con una circolare interna al carcere. L’episodio raccontato non è l’unico, credo che sia accaduto anche molte altre volte. Di queste cose non si parla. Sono storie che si mantengono nella sfera molto intima ma che gli avvocati, i magistrati e gli operatori delle carcerari conoscono molto bene».
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