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domenica 3 agosto 2008

Obama, leader o piacione?

Il candidato democratico alle presidenziali Usa, Barack Obama.

(Pino Buongiorno - Panorama) Con Shimon Peres è subito scattata un’istintiva simpatia. L’anziano capo di stato (85 anni) ha apprezzato il carisma del giovane Barack Obama (46 anni) e la sua visione globale dei problemi, riferisce a Panorama uno dei collaboratori del presidente israeliano. Sicuramente Peres, ma anche il ministro degli Esteri Tzipi Livni, del partito centrista Kadima, e il leader laburista, nonché ministro della Difesa, Ehud Barak si batteranno a favore del candidato nero alla presidenza degli Stati Uniti. Secondo gli ultimi sondaggi, Obama è in svantaggio di 9 punti sul rivale repubblicano John McCain fra i 250mila israeliani con passaporto americano. Nella stessa comunità ebraica, che vive e vota in America, l’attuale 65% dei consensi è considerato fra i più bassi ottenuti dagli aspiranti presidenti democratici.
In Germania Obama
ha trovato uno sponsor imprevisto: Edmund Stoiber, il presidente onorario dell’Unione cristiano-sociale, partito bavarese conservatore che sostiene la maggioranza dei cristiano-democratici di Angela Merkel. Dopo aver ascoltato il suo discorso di 35 minuti dal palcoscenico costruito vicino alla Colonna della vittoria a Berlino, Stoiber ha esclamato: “Il giovane senatore rappresenta quello che molti oggi agognano: carisma e leadership”. Ancora più entusiasta il presidente francese Nicolas Sarkozy, che ha così congedato il gradito ospite sulla scalinata dell’Eliseo: “Buona fortuna, Barack, se vinci la Francia sarà contentissima”.

Barack Obama visita il Muro del pianto a Gerusalemme

Leader o piacione? Israele, Germania, Francia, ma anche Giordania, Iraq, Gran Bretagna, Afghanistan: l’Obamamania è contagiosa. Ma quante di queste solenni benedizioni internazionali alla fine si trasformeranno in voti in America? Ann Marie Jones, 40 anni, una casalinga dell’Ohio, uno degli stati ancora una volta cruciali nelle elezioni del prossimo 4 novembre, ha deciso che non voterà il candidato verso il quale nutriva fino a poco tempo fa una grande ammirazione. “John McCain si è fatto vedere al nostro convegno sul cancro, organizzato dall’università statale, e lui invece lo ha disertato” si è lamentata mentre accarezzava, fra le lacrime, il figlio di dieci anni al quale lo scorso settembre è stata diagnosticata una terribile malattia. A 3 mesi dal voto permane la domanda di fondo: chi è davvero Barack Obama? Un leader con sostanza politica o solo un formidabile oratore? Un leader o solo un “piacione”? “Non c’è dubbio che negli Usa, al contrario che in Europa, Obama viene percepito in generale come più debole di McCain come comandante in capo” risponde a Panorama Frank Newport, il direttore della Gallup Poll, uno dei sondaggisti più accreditati. “Il suo tallone di Achille è la sicurezza nazionale. Per questo ha organizzato il viaggio all’estero. I punti di forza di Obama sono invece l’economia e la politica energetica”. Sempre Newport sostiene che, al contrario, gioca a sfavore di McCain l’età (72 anni), considerata dall’elettorato americano “un problema assai più serio del colore della pelle di Obama”.

La macchina elettorale di Obama. La verità è che ancora una volta assisteremo a un risultato al cardiopalmo. Ne è convinta, per esempio, Donna Brazile, una delle veterane delle campagne elettorali del Partito democratico (fra l’altro è stata manager della campagna di Al Gore nel 2000). “Sarà un’elezione estremamente combattuta” prevede. La stessa Brazile mette in guardia dai facili ottimismi suscitati dai sondaggi nazionali, secondo i quali il senatore dell’Illinois sarebbe in vantaggio di 4-9 punti su McCain: “Tutti noi prestiamo più attenzione ai dati che provengono dai singoli stati, come Ohio, Michigan, Minnesota, Florida e Virginia, e che fanno emergere un quadro di grande incertezza. Come è già accaduto in passato, saranno in ogni caso gli elettori non legati ai partiti a determinare la vittoria”. Ecco perché Obama, anche a costo di rinnegare i temi liberal propagandati durante le primarie (riforma della sanità, nuova politica sull’immigrazione, profondo cambiamento nella politica estera), ha deciso di ricollocarsi al centro per conquistare, oltre ai democratici ancora fedeli a Hillary Clinton, quel 20-30% di elettori non schierati che si attestano a metà strada fra i liberal e i conservatori e tendono a prediligere i politici moderati. L’unica novità rispetto a 4 anni fa, spiega ancora il sondaggista Newport, è che è aumentata la fetta dei repubblicani in uscita dal partito (quasi il 10% in più). A favorire Obama in questo momento non sono solo l’eccezionale favore dei media e la capacità impareggiabile di tenere sermoni cadenzati a seconda delle platee. Lo aiuta soprattutto il livello organizzativo della sua macchina elettorale rispetto a quella dell’avversario repubblicano.

Un comizio del candidato democratico alla Casa Bianca.

“Organizzare una campagna elettorale presidenziale, che comporta trattare con i leader locali, selezionare il personale di fiducia e delegare le responsabilità, gli sta conferendo una notevole esperienza manageriale” sostiene in un’intervista a Panorama Ted Sorensen, consigliere politico che scriveva i discorsi a John Kennedy. Il mago è certamente David Axerold, che guida lo staff come un orologiaio di Ginevra. Ogni tappa della campagna appare scientificamente calibrata per costruire la figura presidenziale di Obama. Il senatore dell’Illinois non è un eroe di guerra come McCain? Nessun problema: ecco la “settimana del patriota”, nella quale Obama affronta in un crescendo di retorica i grandi temi dell’orgoglio di essere americano, della famiglia e della religione. Non sa nulla su come gira il mondo? Ecco la “settimana della politica estera”, dove ha ricevuto un sostegno inatteso da George W. Bush, che ha mandato un suo emissario ai colloqui con l’Iran (Obama ha sempre affermato che bisogna parlare direttamente con il regime di Teheran e non affidare ad altri la trattativa diplomatica). Ancora più significativo l’aiuto del premier iracheno Nouri al Maliki a proposito del ritiro programmato delle truppe americane. In entrambi i casi McCain è stato spiazzato. Ora è la volta della “settimana dell’economia”, con il candidato “del cambiamento” che va prima a Washington a consultare i grandi economisti e i guru della borsa e poi vola in Michigan, Ohio e Pennsylvania, dove più acuta è la crisi economica. Anche in questo giro Obama si porta dietro gli ultimi sondaggi, secondo i quali per oltre metà dell’elettorato americano l’economia è oggi la principale preoccupazione, mentre solo il 13% avrebbe a cuore le sorti dell’Iraq. “La sua leadership mi ricorda quella di Franklin Delano Roosevelt. Penso che Obama, come lui, se sarà eletto saprà trovare un modo inedito e coraggioso per far uscire l’America da una congiuntura economica negativa” dichiara Robert Dalleck, uno dei maggiori storici delle presidenze americane.

I dubbi dell’opinione pubblica. Una conquista della Casa Bianca fin troppo annunciata? È difficile dare oggi una risposta plausibile, anche perché gli orientamenti dell’opinione pubblica, in particolare dei non schierati, si definiranno solo dopo le candidature alla vicepresidenza e dopo le due convention: dei democratici in programma a Denver dal 25 al 28 agosto, dei repubblicani a St. Paul dall’1 al 4 settembre. McCain deve sicuramente inventare al più presto nuove formule di politica economica, andando oltre le questioni della sicurezza nazionale. Obama invece ha altri ostacoli da superare. “Potrebbe diventare uno dei presidenti che più ispirano gli americani in tempi difficili, come Kennedy e Ronald Reagan” dichiara a Panorama Larry Sabato, politologo dell’Università della Virginia. “È intelligente e ha un impressionante istinto che lo porta a prendere le decisioni giuste. Inoltre sa entusiasmare i giovani come nessuno ha fatto dai tempi di Kennedy e potrebbe essere in grado di mettere fine ai nostri infiniti dibattiti sul razzismo. Allo stesso tempo, però, Obama sarebbe uno dei presidenti con meno esperienza nella storia americana. E l’opinione pubblica comincia a infastidirsi perché percepisce nel candidato democratico un’arroganza e una sicurezza ai limiti dell’impudenza” conclude Sabato. “In definitiva trovo impossibile predire come si comporterebbe una volta eletto o se saprebbe tenere testa alle sfide da affrontare. È una gigantesca scommessa. L’incognita maggiore non sono i suoi piani per l’Iraq, l’economia o l’ambiente, ma il fatto che abbia la forza politica e l’abilità per metterli in pratica”. (hanno collaborato Elena Molinari e Oscar Puntel)

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