(Michele Anselmi - Il Giornale) Costa 980 euro il film-scandalo di Venezia 2008. Sì, avete letto bene: 980 euro. Più che un low-budget un no-budget. Un altro pianeta di Stefano Tummolini non figura nella selezione ufficiale italiana che sta mettendo a punto il direttore Marco Müller, ma vedrete che se ne parlerà, eccome, quando passerà al Lido, all'interno della sezione autogestita «Giornate degli autori». Per varie ragioni. Costo inesistente e storia stuzzicante fanno tutt'uno in questa curiosa opera d'esordio che Tummolini e il suo attore protagonista Antonio Merone hanno covato per due lustri, con varie false partenze, prima di riuscire a realizzarla, appunto con neanche mille euro, confidando sul sostegno gratuito degli interpreti e dell'operatore. Naturalmente, in vista della «prima» veneziana, il sopraggiunto distributore, la Ripley's Film, dovrà investire qualche migliaia di euro per convertire il formato da video in pellicola, ma resta l'eccezionalità dell'esperimento, in verità non unico nel suo genere. Due anni fa, sempre a Venezia, destò un certo scalpore La rieducazione, girato a Guidonia con 500 euro, senza attori professionisti, in una chiave di presa diretta sulla realtà. L'inflazione pesa...
Non che il no-budget debba diventare un modello. Il cinema è industria, ha bisogno di capitali certi e idee chiare, sicché l'introduzione di tax-credit e tax-shelter fa ben sperare per il futuro. Ma fanno simpatia questi cineasti ruspanti: invece di battere cassa allo Stato o fare il giro delle sette chiese, passano all'azione in economia, nella speranza che, a prodotto finito, qualcuno si faccia avanti. Esattamente quanto è successo a Tummolini. Il quale ancora ieri, alla presentazione della rassegna pilotata da Fabio Ferzetti, sembrava non credere all'evidenza dei fatti, e cioè che il suo film figura accanto agli altri dieci titoli, tra i quali l'esordio alla regia di quel famoso Uberto Pasolini che fu produttore di Full Monty.
Quanto allo scandalo annunciato, be', ogni anno a Venezia come a Cannes appare un film che stuzzica l'appetito dei giornalisti sul versante del sesso. I lettori del Giornale ricorderanno la querelle legata alla controversa erezione di Elio Germano in Nessuna qualità agli eroi di Paolo Franchi: una sequenza di neanche dieci secondi, che però finì col «mangiarsi» tutto il resto sul piano mediatico, facendo molto arrabbiare il regista e suscitando qualche ironia. Nel caso di Un altro pianeta già molto si chiacchiera dell'incipit, che mostra un esplicito e frettoloso rapporto omosex tra le dune di Capocotta, sul litorale romano. Per chi non sapesse, Capocotta è da anni meta abituale di gay e naturisti, diciamo un'oasi per uomini e donne che amano mettersi al sole come mamma li fece. Lì, su quella spiaggia, avviene l'incontro tra un bagnante solitario, s'intende col bigolo al vento, e tre giovani donne, con regolare costume, in cerca di compagnia. Incuriosite dal contesto disinibito, il terzetto fa amicizia con Salvatore, che noi sappiamo essere gay ma le fanciulle no.
Spiega il regista, che ha girato tutto in una settimana, con ritmi da soap-opera: «Fra chiacchiere e confidenze, bugie e mezze verità, comportamenti espliciti e sentimenti contorti, alla fine della giornata nulla sarà come prima». C'è di mezzo l'elaborazione di un lutto, letteralmente, ma il film, spregiudicato nel linguaggio, intenderebbe gettare «una luce schietta e insieme affettuosa su un mondo molto meno “a parte” di quanto non si creda». Lo prendiamo in parola.
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