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lunedì 2 giugno 2008

Mamma, mamma e figlia

(Davide Varì - Liberazione) «Ma perchè diamine devo sempre dimostrare di essere una brava mamma?». Costanza, 40 anni circa, lo dice in modo ironico, ma il fatto che la sua maternità sia sempre discussa, scannerizzata e giudicata inizia a diventare decisamente irritante. Il "problema" è che sua figlia Alice, due anni appena compiuti, di mamme ne ha due: "mammaCo" "e mammaMo", mamma Costanza e mamma Morena.
Sono una famiglia "arcobaleno" loro. Una delle tante famiglie omogenitoriali che vivono in questo Paese e che questo stesso Paese, quando non gli fa la guerra, semplicemente ignora. Il Paese delle istituzioni però.
Questa miriade di gruppi famigliari omogenitoriali sparsi in tutta italia, ha infatti dei vicini dei casa e dei colleghi; ha a che fare con le maestre dei propri figli e con i genitori dei loro compagni di scuola. Insomma, ha una rete sociale, esattamente come tutte le altre famiglie italiane. Una rete che non solo non ignora la loro situazioni ma che, nelle stragrande maggioranza dei casi, ci convive con serenità: «Quando è nata Alice i vicini ci hanno riempito di regali: culla, vestitini, giochi...».
Dunque l'inviolabilità della famiglia cosiddetta naturale - madre, padre e figlio - esiste solo nelle parole di qualche politico in cerca di santità o, al più, di qualche entratura in Vaticano? «Indubbiamente l'omofobia esiste anche nel Paese reale - spiega Costanza - solo che di fronte alla conoscenza diretta del fenomeno e di fronte al riconoscimento della nostra normalità ogni pregiudizio sembra sparire». Morena e Costanza hanno avuto Alice due anni fa. «Siamo andate in Belgio e abbiamo fatto la fecondazione assistita. Anzi, è la mia compagna che l'ha fatta, è lei la mamma biologica».
Uno scherzetto che, grazie alla legge 40, è costato loro varie decine di migliaia di euro. «Il fatto è che noi volevamo davvero tanto Alice». Almeno su questo dovrebbero essere tutti d'accordo: le peripezie che deve affrontare una coppia omogenitoriale per avere un figlio sono così faticose e lunghe che nessuno potrà mai mettere in dubbio la loro voglia di essere genitori.
Eppure, anche loro, che oggi vivono un vita serena e del tutto integrata - una vita normale come più volte ripete Costanza - hanno dovuto fare i conti i pregiudizi. Soprattutto con i propri pregiudizi: «Quando ho scoperto di essere lesbica - racconta ancora Costanza - ho escluso qualsiasi possibilità di divenire mamma. Non è stata una cosa pensata, è stato un pensiero automatico».
Poi è arrivata Morena che insieme all'amore ha portato un insopprimibile desiderio di maternità. «Mi ha messo di fronte ad una questione che io non mi ero mai posta veramente. Con il passare del tempo sono stata trascinata dalla sua dolce determinazione ed ho capito che anch'io volevo essere mamma».
Poi Morena è rimasta incinta e Costanza l'ha "accompagnata" per nove mesi. Visite dal ginecologo, ecografie e infine il parto. Certo Alice e Morena, soprattutto i primi mesi hanno creato il loro piccolo e inviolabile mondo. Quell'osmosi fisica, quasi ferina, che si crea tra madre e neonato. «Lei l'ha tenuta in grembo per nove mesi, l'ha allattata, è normale che sia così. Ma io ho atteso con serenità e oggi, a due anni di distanza, mi sento madre allo stesso livello». Una madre allo stesso livello, certo, ma non per la legge. Lei, Costanza, per lo Stato italiano non ha alcun diritto e alcun legame nei confronti di sua figlia.
Che provasse a spiegarlo alla bambina questo Stato, provasse a dirle che Costanza non è sua madre. Altro che difesa del diritto del bambino.
Ed è per rivendicare questo diritto che ieri, l'associazione Arcobaleno si è ritrovata a Roma in un convegno dal titolo piuttosto esplicito: "I figli fantasma delle coppie fantasma". «E' noto, i fantasmi non si stancano mai - dice la presidentessa, Giuseppina La Delfa - Girano e rigirano, insonni, in cerca di pace e serenità. Così facciamo noi e lo faremo finché saremo accolti nella comunità dei vivi, degli aventi diritti». E il convegno ha rappresentato un'occasione per tirare le somme di tre anni di attività. Del resto i bambini con almeno un genitore gay sono circa 100mila. Un numero che non si può ignorare e la cui composizione è molto varia.
Chiara Lalli, bioeticista dell'Università romana de La Sapienza, sta preparando un volume arricchito da storie di vita vissute di genitori gay: «La cosa che balza agli occhi è la "normalità" di queste famiglie. Ho parlato in modo diretto con i bambini e nessuno di loro vive difficoltà o disagi riconducibile al genere dei propri genitori. Anche il contesto sociale è sereno: la scuola riesce a integrarli senza alcuno sforzo. Una conferma che il dato fondamentale della genitorialità è l'affetto, è l'amore».
Nulla in meno dunque rispetto ad una coppia di genitori eterosessuali. Anzi, forse qualcosa in più. L'unico problema, dunque, è dato dalla legge: «Se il genitore biologico dovesse venir meno, il bambino sarebbe orfano. Non c'è nessuna legge che tuteli il minore da questa gravissima e dolorosissima ingiustizia».
Ma c'è chi si ostina a utilizzare la "tutela del bambino" come un arma da scagliare contro la possibilità che le coppie gay possano adottarne: crescita squilibrata e mancanza delle figura di genere, continuano a ripetere i detrattori. Di certo, però, ci sono solo gli studi dei più importanti istituti di ricerca. Tra questi, quello dell'American Psychological Association: «Sotto condizioni socio-economiche simili, i bambini allevati da coppie dello stesso sesso sono paragonabili a quelli allevati da coppie di sesso opposto in termini di salute mentale e fisica». Del resto, generazioni intere di italiani sono cresciute avendo come unico riferimento di genere le donne: mamme, nonne, zie e via dicendo.
C'erano anche Costanza e Morena al convegno di ieri: «Nostra figlia - ammette sorridendo Costanza - è etero, già si capisce. Vabbè, la accetteremo comunque per quel che è».

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