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venerdì 23 maggio 2008

Se anche la sinistra ha paura del gaypride.

Quelli che in campagna elettorale erano sintomi, nel post-campagna elettorale si stanno trasformando in patologia manifesta.
(Andrea Benedino* - L'Unità.) Il gran discutere che si è scatenato nella politica italiana attorno alle volgari e ignoranti dichiarazioni del neo-Ministro alle Pari Opportunità Mara Carfagna sul patrocinio del suo ministero al Pride nazionale di Bologna rischia di far passare in secondo piano un dibattito che invece andrebbe aperto sui limiti del centrosinistra italiano tutto e del Pd in particolare nel parlare apertamente di omosessualità e diritti civili di gay, lesbiche e trans.

Non basta, infatti, definire se stessi soltanto in negativo rispetto a questo governo, nascondendosi dietro il paravento di una destra integralista e omofoba per affermare la propria credibilità su questi temi, quando nella passata legislatura gli unici risultati conseguiti sono stati molte chiacchiere, un po’ di buona volontà da parte di alcuni, ma zero risultati concreti.

Il gran silenzio che c’è stato in campagna elettorale da parte del Pd sui temi etici e sui diritti civili è senz’altro servito a oscurare la diversità di vedute interna al partito su alcune importanti scelte, in primis la legge sui diritti dei conviventi, ma nascondeva anche chiari sintomi di quell’“omofobia interiorizzata” da cui la sinistra italiana non è ancora riuscita a liberarsi e che si estende ben oltre i confini del Pd, avendo contagiato ampi settori della sinistra radicale. Un’“omofobia interiorizzata” simile a quella che porta molti omosessuali a far propri quegli atteggiamenti discriminatori di cui sono essi stessi vittime e che sta alla base della difficoltà a occuparsi efficacemente di questi temi e dell’arretratezza legislativa dell’Italia su questi argomenti e che si poggia saldamente su un conflitto irrisolto tra la sinistra e le battaglie per i diritti civili e la modernizzazione del Paese.

Quelli che in campagna elettorale erano sintomi, nel post-campagna elettorale si stanno trasformando in patologia manifesta, in quel retro-pensiero che in tanti hanno e che qualcuno sta iniziando anche a pronunciare apertamente, secondo cui “occuparsi di froci fa solo perdere voti”.

Qualche giorno dopo le elezioni su Liberazione alcuni operai di Mirafiori, spiegando il loro mancato voto alla Sinistra Arcobaleno, si giustificavano dicendo apertamente che ormai “la sinistra pensa solo a froci e a zingari e non a noi”. Un episodio simile è accaduto pure a me, nella mia sezione del Pd ad Ivrea, all’indomani di una campagna elettorale che mi aveva visto candidato, quando mi sono trovato di fronte autorevoli dirigenti locali che, commentando i risultati, apertamente affermavano che «Se ci fossimo occupati meno di Dico e più di chi non riesce a mettere assieme il pranzo con la cena, forse queste elezioni non le avremmo perse». Qualche giorno fa a Verona, dove si stava svolgendo una manifestazione contro la violenza e il razzismo in ricordo di Nicola, alcuni militanti del movimento lgbt presenti in piazza raccontano che un gruppo di militanti del PdCI, incuriosito dalle bandiere arcobaleno dell’Arcigay, passando accanto a loro commentava in dialetto veneto «No, no, qui oggi i froci non ci sono». E non è un caso che tra le poche dichiarazioni a sostegno del ministro Carfagna brillasse quella dell’esponente del Pd Marco Follini, in buona compagnia della senatrice del Pd Dorina Bianchi che invocava da parte della Carfagna una “tolleranza” verso la manifestazione del Pride che suonava pietisticamente un po’ come “misericordia”, visto che era accompagnata dalla solita critica alla “colorita manifestazione”.

L’impressione è quella di esser riusciti in pieno nella realizzazione del paradosso di aver scontentato in pieno l’aspettativa di diritti degli omosessuali italiani, dando però l’impressione all’opinione pubblica di essercene occupati fin troppo.

Il tema, quindi, non è soltanto quello di come prendere le distanze dalle dichiarazioni discriminatorie del ministro delle Dis-Pari Opportunità, ma è anche quello di come l’opposizione, a partire dal Pd, saprà rendersi credibile nel ricostruire un rapporto solido con il movimento per i diritti di gay, lesbiche e trans nel nostro paese. Evitando di passare per il partito che si schiera a favore dei loro diritti, “ma anche” dalla parte di chi li contrasta, sciogliendo una volta per tutte quelle contraddizioni insanabili tra le sue varie componenti che l’hanno portato negli anni passati all’immobilismo.

La prima verifica di questo atteggiamento passerà inevitabilmente attraverso ciò che accadrà il prossimo 28 giugno con il Pride nazionale di Bologna. Il Partito Democratico, oltre a protestare giustamente con la Carfagna per il mancato patrocinio ministeriale, aderirà ufficialmente alla manifestazione? Farà arrivare agli organizzatori almeno il patrocinio del Governo Ombra? Sarà presente con un’autorevole delegazione, magari guidata dal suo segretario?

Me lo chiedo perché un anno fa già i Ds esitarono non poco nell’adesione e furono quasi del tutto assenti dalla manifestazione e vedo il rischio concreto che, al di là di alcune pregevoli dichiarazioni di sostegno, in primis quelle fatte ieri dall’ex ministra Pollastrini e dalle due ministre ombra Vittoria Franco e Pina Picierno, prevalga nella sostanza dentro al Pd nei confronti di questo movimento un atteggiamento di cauta distanza, quasi che ci si trovasse di fronte più ad una piazza radicale ed estremista che ad una comunità di donne e uomini che rivendicano diritti elementari quali quello all’affettività e alla sicurezza. Si tratta di un errore grave di valutazione che negli ultimi anni ci ha portato a risultati infausti: perseverare nell’errore temo sarebbe, oltre che diabolico, devastante.

*Componente Assemblea Costituente nazionale Pd.

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