(Luca Doninelli - Il Giornale) Alla bella stagione non bastano più la rondine sotto il tetto o le gèmmule d’oro sul fico e sul moro. Il suo arrivo ufficiale ha un nuovo araldo: il piccolo catalogo Ikea, quello con la collezione primavera-estate. È il catalogo delle promesse, una prima sbirciatina molto primaverile sul mondo che solo il nuovo, grande catalogo ci spalancherà, a tempo debito.
Io amo i cataloghi Ikea. Li sfoglio mentre bevo il primo caffè, oppure in bagno, e perfino nelle notti insonni mi tengono compagnia. Perché i cataloghi Ikea sono pieni di comunicazioni che non si riducono alle immagini dei vari mobili, ai prezzi e alle diverse combinazioni possibili. C’è qualcosa di più.
Negli anni Ottanta si diceva che non basta vendere un prodotto: col prodotto bisogna vendere anche un’idea, un sogno, un desiderio, insomma: un’immagine. Se vendi l’immagine, il prodotto si moltiplica. Se vendi una scatola di biscotti è un conto, se vendi un mulino bianco è un altro paio di maniche.
Ma l’Ikea va oltre, perché l’Ikea ci vende il modello di una società completa, in tutte le sue possibili versioni. Non è la società vera, più rugosa e contraddittoria: non lo è da noi e credo non lo sia nemmeno in Svezia. Ma è stata immaginata così tanto da diventare più vera del vero. Iperreale. È una società pensata da scrittori, poeti, rockstar, cineasti, artisti visivi, politici, sognatori, ideologi, architetti, e piano piano è diventata credenza, libreria, piano cottura, lampada, tavolino, cucchiaio, cornice per le fotografie, pianta grassa, piumone, sedia girevole.
È una società perfetta, ecco perché non esiste. Ma può esistere da un momento all’altro perché costa poco. Una visita all’Ikea comporta un pranzo economico e abbastanza gustoso a base di aringa e salmone e lo spettacolo più imprevedibile, perché lì la società illustrata dal catalogo si materializza in carne e ossa, il modello comincia a realizzarsi. Le diverse tipologie umane presentate con rigore tassonomico nel catalogo (del resto un buon catalogo deve sempre catalogare) acquistano corpo.
Dunque: un viaggio istruttivo.
Ma il viaggio comincia sulle pagine del catalogo. Quello che ho per le mani, ad esempio, si occupa di cucine. In una casa vissuta, la cucina è la stanza più vissuta di tutte: così come, in una casa algida, niente è più algido della cucina.
Ikea sta dalla parte della vita, perciò le sue cucine sono luoghi di vita, di incontri, luoghi dove è bello stare anche senza dover mangiare o bere o cucinare. Ed è così che ci si presentano. Cucina, soprattutto, vuol dire famiglia, ed è a tutti i modelli possibili di famiglia che Ikea offre le proprie cucine.
La prima cucina, alle pagine 8 e 9, ci presenta una famiglia composta da un papà, i suoi due bambini e una donna di diversa origine etnica. I bambini pasticciano qualcosa, sembra, con delle uova. Il papà è di spalle e sta consultando un libro di ricette: segno che sarà lui a cucinare. All’Ikea, sempre all’avanguardia del politically correct, sono più spesso gli uomini alle prese con i fornelli. Quanto alla donna, che non può essere la madre dei ragazzini, se ne sta seduta al tavolo a leggere il giornale: non è, dunque, né una baby-sitter né una colf, bensì - si presume - la seconda moglie dell’uomo.
Proseguendo, dopo aver ammirato una cucina in cui quattro ragazzi compiono azioni diverse (uno sbatte le uova, uno sta al computer, due parlano di cose serie, a significare che in cucina si fa tutto), incontriamo un’altra cucina di dimensioni più ridotte, in cui un gay - la posa è inequivocabile - pranza da solo in piedi, ma è contento, perché qualcuno ha scritto con un gessetto sull’antina una frase carina, con un cuore al posto della firma.
Nella pagina successiva intorno a un piano di lavoro un uomo e una donna conversano. Qui è lei che lavora di più, lui le dà solo una mano. Siamo sicuramente a casa di lei, i due sono single - lei dopo qualche incidente - e questo è un classico incontro al buio. La felicità nasce anche così.
Più oltre, ecco due uomini e due donne indaffarati. Sono molto amici, lo si vede dal fatto che stanno preparando tutti insieme la cena, molto allegramente. Due di loro sono asiatici, due europei: ma l’immagine non ci dice quali siano i legami, del resto è bello non saperli. Sono amici, e tanto basta.
Nella pagina successiva ecco una ragazza molto salutista, forse single. Indossa una gonna leggera e una maglietta senza maniche, ma porta ai piedi scarponi da trekking. Sta sbucciando una mela (verde, è ovvio) mentre altre mele (verdi) stanno sul lavello. Le mele sono l’unica cosa commestibile: per il resto abbiamo una piantina forse di menta e del basilico appeso sopra il lavello.
Abbiamo poi:
- una madre col figlio adolescente, più un gatto che deve essere il capo-famiglia perché è il solo a non cucinare;
- un padre di colore con la figlioletta il cui visino ci racconta di una madre ispanica;
- una bella donna sola che prepara la cena in un’atmosfera calda, con penombra e vaso di fiori (sarà una cenetta a due, di sicuro);
- due giovani donne, che dal modo in cui si guardano tradiscono un legame assai forte: forse una delle due ha appena raccontato all’altra i particolari della scorsa notte, o forse le due sono fidanzate tra loro.
Nell’ultima immagine, in una cucina tutta blu immersa nel crepuscolo un uomo vestito di blu guarda una bella finestra ad arco, chiusa. Non è una tipologia sociale: non è né omo né etero, né altra cosa. È solo un uomo, un individuo, e visto che da quella finestra non si vede niente è probabile che stia - semplicemente - pensando. Pagina 53.
Come dicevo prima, il bello è che, se andate all’Ikea e guardate chi la frequenta, vi accorgerete che questo mondo esiste già: però ci vuole l’Ikea a farlo venire a galla, perché in corso Vittorio Emanuele o in piazza Duomo non ve ne accorgereste mai.
ªDimenticavo. Non so se avete notato che c’è un assente in questa carrellata: la famiglia normale, quella composta da papà, mamma e figli. Quella semplice, popolare. Dove l’hanno messa?
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