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giovedì 31 gennaio 2008

Bova, il bello che si fa desiderare.

Effetto «Scusa ma ti chiamo amore».
A Padova, assente all’incontro in libreria, ha soddisfatto le attese dei fans al Cinecity. Per la protagonista del film Michela Quattrociocche la love story tra una diciassettenne e un trentasettenne «non è poi così assurda».
E lo scrittore-regista Federico Moccia parla di divario generazionale che si è ridotto.

(Giorgia Taffarelli -Il Mattino di Padova) Bello è bello. Anzi, Raoul Bova è impossibly handsom (intollerabilmente bello) o, a scelta, the italian Brad Pitt, come l’hanno definito oltreoceano. E invece il protagonista di Scusa ma ti chiamo amore è un bello possibilissimo, che si concede alla cinematografia nostrana della commedia romantica con la stessa serietà con cui recita nelle grandi produzioni internazionali e d’autore, che non disdegna la fiction televisiva (da Nassiriya al cameo nei nuovi Cesaroni) ma che prosegue nella carriera parallela di produttore impegnato (il film Io, l’altro, sul tema del razzismo). Sullo schermo può dare volto, sentimenti e fisicità ad Alex, il fragile quasi quarantenne di Scusa ma ti chiamo amore, come a Carlos Gardel, il padre del tango, nel prossimo film di Alfonso Arau.
Possibilissmo per il piccolo e grande schermo, un po’ meno per alcune centinaia di fans che ieri l’hanno atteso inutilmente tutto il pomeriggio alla libreria Mondadori di Padova e che solo dopo oltre mezz’ora di ritardo sull’orario d’inizio dell’evento hanno appreso del forfait. Loro aspettavano il divo Raoul Bova, l’Alex incarnato del bestseller di Federico Moccia. E invece, causa un’improbabile influenza miracolosamente “guarita” alle 21.30 davanti al pubblico pagante del Cinecity di Limena (oltre mille biglietti venduti, 8 mila euro d’incasso) si sono dovuti “accontentare” della protagonista del film Michela Quattrociocche, dello scrittore-regista Moccia e di una rappresentanza del cast. A nulla sono valsi i cori «Raoul Raoul» che hanno più volte interrotto l’incontro, a nulla è servito acquistare le copie del libro Diario di un sogno (gli “appunti” dal set del film, freschi di stampa) sperando di farselo autografare dall’attore più amato del momento (Scamarcio, chi era costui?). E a chi chiedeva se c’erano domande, il pubblico rispondeva in coro: «Sì, ma a Raoul». Mentre la produttrice Rita Rusic assisteva in disparte, Moccia, la Quattrociocche e Francesco Apolloni (nel film Pietro, l’amico di Alex) hanno fatto del loro meglio per intrattenere i fans delusi che alla fine qualche domanda l’hanno anche fatta.
Apolloni ha simpaticamente interpretato il sostituto di Bova («Madonna come sono sex symbol, com’è difficile essere sex symbol!») e la Quattrociocche ha fatto sapere che la love story tra una diciassettenne e un trentasettenne raccontata nel libro e nel film «non è poi così assurda. Non c’è niente di male e comunque consiglio di dire tutto ai genitori perché loro ci vogliono bene e capiscono i nostri problemi». Quanto a Moccia, ha sostenuto con acume che il divario generazionale si va riducendo sempre più: «Oggi ci sono un sacco di adolescenti mature, che si occupano della casa e dei fratelli più piccoli perché i genitori sono a lavorare tutto il giorno. E ci sono trenta-quarantenni che fanno gli adolescenti: vanno in scooterone, giocano con la playstation, si mettono i jeans a vita bassa...». A margine dell’incontro, parlando con i giornalisti, ha escluso di voler proseguire nella carriera di regista ma si augura che ci siano «altri registi giovani davvero, non come me, che facciano film che parlano agli adolescenti»; ha elogiato Fiorello e la sua imitazione («Mi ha dato popolarità anche tra il pubblico adulto») e ha dettato le regole per i ragazzi che sognano di diventare scrittori: «Studiare il linguaggio, osservare con attenzione il mondo che ci circonda e leggere molto».
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Parla Raoul Bova.

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