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lunedì 1 settembre 2008

Venezia. Ozpetek: Criticato per aver sostituito gay con una donna e non convince.

Il regista parla del suo ultimo film 'Un giorno perfetto'.
(Apcom) Ferzan Ozpetek parla del suo ultimo film 'Un giorno perfetto', criticato da alcuni perché troppo distante dal suo stile abituale. "Qualcuno si è arrabbiato perché ho sostituito un gay con una donna. Ho fatto questa scelta perché non mi sembrava facesse bene all'ambiente gay. Mi sembrava banale. Invece - ha dichiarato al settimanale 'Grazia', in edicola domani - mi interessava il rapporto tra le due donne (interpretate da Isabella Ferrari e Monica Guerritore, ndr) e mi attirava il fatto che parlassero di uomini. Le due donne hanno una comunicazione particolare tra di loro".

Il film parla di una feroce storia d'amore che separa e unisce i due innamorati. Ozpetek confessa di aver vissuto una situazione simile. "Mi ha ricordato l'ossessione che ho avuto per una certa persona. Per fortuna durò solo sei mesi. E poi mi interessava il tema della violenza sulle donne. Quando in un paese le cose non vanno bene - spiega - lo capisci da come vengono trattate tutte le donne".

Ma Ozpetek non ama le donne "quando vogliono il potere maschile e diventano dure" e conclude: "In realtà le donne riescono sempre a cambiare le cose. Per questo escono sempre vincitrici nei miei film".
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Non proprio Un giorno perfetto per Ozpetek al Lido.
(Pasquale Colizzi - L'Unità) I colpi sono rimasti in canna: il tiro al piattello del titolo italiano, lo sport estivo preferito dai giornalisti in trasferta al Lido, deve passare il turno. Arriva il primo titolo di casa nostra in concorso, Un giorno perfetto di Ferzan Ozpetek: nessuno spargimento di sangue ma l'attesa per l'apripista dei nostri autori in questa edizione è andata delusa. Sappiamo che ripartirà la questione: meritava di essere invitato in una competizione di cinema internazionale?

Il regista italo-turco si confrontava con un film su commissione (del produttore Domenico Procacci), tratto dallo stesso romanzo di Melania Mazzucco, sceneggiato da Sandro Petraglia. Con interventi del regista, che ha aggiunto donne (Angela Finocchiaro e Monica Guerritore, in due piccolissimi ruoli) ed eliminato un professore gay. Insomma un tentativo di allontanarsi dai grandi ensemble sentimentali a cui ci aveva abituato e la prima prova con una storia d'amore che fu passionale e che ritroviamo in una sola giornata, quella definitiva della violenza.

Alla proiezione mattutina per la stampa c'è stato uno stentato applauso, poi in conferenza stampa uno più caloroso (potenza delle claque organizzate?). La storia: Isabella Ferrari, una donna separata, che vive con i figli dalla madre (piccolo ruolo per Stefania Sandrelli), è intimorita, e a ragione, dal marito Valerio Mastandrea, che fa la scorta di un politico laido e inguaiato con la giustizia (Valerio Binasco). Il ragazzo per cui aveva provato una forte passione si è trasformato in una ossessione: rivuole lei, i suoi figli, la vecchia vita. Gli altri personaggi sono un contorno, anche poco efficace.

La storia gira come in un tipico affresco italiano sotto il cielo della capitale: genitori infelici (e figli infelici), politici corrotti, piccole evasioni. L'ambiente è medio borghese o benestante ma poco cambia. Quanto alla violenza, che esplode improvvisa e sanguinaria, Ozpetek e Petraglia tentano di farla respirare nell'ambiente. Ma spiegano altrettanto poco, rendendola così poco comprensibile. Due i momenti clou. Uno è l'aggressione di un marito respinto alla moglie intimorita. La scena nel canneto lungo il Tevere è venuta in mente al regista "pensando a Rocco ei suoi fratelli. Nel libro era ambientata in macchina, un luogo brutto dove è difficile girare".

Isabella Ferrari racconta di "aver rimosso molto di quei momenti". Davanti aveva un Valerio Mastandrea fuori di se, che però l'ha guidata: "Ho avuto fiducia in quello che stavo facendo solo guardando negli occhi l'attore straordinario che avevo di fronte". L'interprete romano, che ha affrontato un duro programma in palestra per risultare l'uomo muscoloso che il libro descriveva, è stato forse quello più efficace: "Non giudico il mio personaggio, la sua spinta violenta", ha spiegato. Poi smorzando i toni abbastanza seriosi dell'incontro ha aggiunto: "Un film è una cosa seria ma cerchiamo di prenderlo nella giusta maniera".

Come si colloca il film di Ozpetek in mezzo ai titoli già visti in concorso? Su cinque proposte, forse nessuno per ora può aspirare ad un premio: Takeshi Kitano ha già vinto e appare in attesa di idee migliori, Christian Petzold ha costruito un triangolo troppo gelido, Arriaga è stato del tutto professionale, Barbet Schroder col suo horror giapponese ha esplorato un genere con molti rischi e Plastic City di Yu Lik-wai traborda dai confini che si era preposto. Ma tra tutti, quello italiano è un "prodotto tipico" che non serve Tarantino per farci comprendere quanto debole.

E infatti, al netto di premi e incassi italiani, ci sono possibilità di esportarlo? Il produttore Procacci va cauto ma fa l'esempio di Respiro, il suo migliore risultato all'estero, che però partiva in sordina: "Difficile fare previsioni". Quanto all'aver commissionato il film, pratica invisa a molti autori italiani che vogliono sempre dirigere proprie storie, ha risposto: "Forse gli autori stanno cambiando, adesso accettano di girare testi non loro, come nel caso di Gomorra o Caos calmo. Ma non abbiamo inventato niente di nuovo".

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