La spaccatura nel Pd. Gli avversari interni. Cazzola e Guazzaloca possibili sfidanti. La strada in salita di Cofferati verso la nuova candidatura a sindaco.
(Marco Damilano - L'Espresso) Alle nove di sera di un giovedì di giugno il pratone delle Due Madonne è una sporca pozza di fango. Diluvia sulla festa dell'Unità del quartiere, qui a Bologna si chiama ancora così. Chiusa la libreria, sbarrata la sala riunioni, deserto lo spazio dibattiti, solo il ristorante resiste. 'Bersani annullato', avvisa malinconicamente un cartello scritto a matita. Colpa del maltempo, e non solo. Il Pd per ora ancora c'è: alle elezioni del 13 aprile in città ha toccato quota 49,7 per cento, 123 mila voti, più il 5,7 di Antonio Di Pietro, percentuali record: eppure tra i democratici non c'è pace.
Veleni, divisioni, l'incubo di perdere Palazzo d'Accursio tra 12 mesi, come successe dieci anni fa, nel 1999, quando arrivarono inviati da tutto il mondo per raccontare l'evento. La moltiplicazione dei candidati: dopo Giorgio Guazzaloca, il vincitore del '99, è pronto a scendere in campo il presidente del Bologna calcio, Alfredo Cazzola, sostenuto da Forza Italia. Anche il cardinale Carlo Caffarra si è fatto sentire: "La città non è più sazia", come denunciò il suo predecessore Giacomo Biffi, "ma è ancora disperata".
Solo Sergio Cofferati ostenta tranquillità: "Il Pd? È calmo, per definizione. Ogni tanto gli do qualche scossa per fargli prendere vita...", sembra divertirsi il sindaco. Vestito di grigio e abbronzato, la settimana scorsa il Cinese ha consegnato ai giocatori del Bologna calcio la medaglia della città per la promozione in serie A. C'era tutta la squadra, tranne il rivale Cazzola, in violenta polemica dopo l'ultima giornata di campionato, quando mezzo stadio ha intonato cori di vaffa contro Cofferati, assente causa vacanza marina in famiglia. "Non sono andato allo stadio per tutto l'anno", si difende l'ex segretario della Cgil: "Se mi fossi fatto vedere all'ultima partita mi avrebbero accusato di mettere il cappello sulla vittoria. O peggio, se il Bologna avesse mancato la promozione, avrebbero detto che porto iella".
"Se ci fosse un partito serio, facciamo conto il vecchio Pci, qualcuno avrebbe già telefonato a Cofferati e lo avrebbe convinto con le buone che al Parlamento europeo c'è un gran bisogno di lui", sbotta Antonio La Forgia, un bel pezzo di storia del Pci-Pds della città, oggi a capo della minoranza interna al Pd, pronto a correre alle primarie per sbarrare la strada alla riconferma del Cinese. Anche la presidente della Provincia, la cattolica Beatrice Draghetti, ha attaccato durante l'assemblea del Pd bolognese: "Servono primarie, non primariette". Più applaudita del segretario cittadino Andrea De Maria che annunciava la disponibilità al bis di Cofferati.
L'eventualità di una candidatura Cazzola, il terzo uomo, l'alternativa ai duellanti del 2004 Cofferati e Guazzaloca, ha fatto perdere il sonno ai capi del Pd. La reazione ufficiale è un fuoco di sbarramento: Cazzola è un Berlusconi alla bolognese, impastoiato nel conflitto di interessi, vuole solo salvare il suo progetto, il polo sportivo Romilia con annesso stadio da 30 mila posti bocciato dalla Provincia di Bologna... "Ci spaventa di più Guazzaloca che pesca nel nostro mondo", si spingono a dire nel Pd.
Tutto vero. Ma la divisione reale passa all'interno del partito di Walter Veltroni. Cinque anni dopo il suo arrivo in piazza Maggiore, Cofferati continua a essere considerato un corpo estraneo, uno straniero. E il tentativo di crearsi un suo gruppo all'interno del partito ha accentuato la spaccatura tra le diverse anime del Pd. Ci sono gli innovatori, i cofferatiani, cherivendicano di aver capito prima di Veltroni e del Pd nazionale che l'alleanza con la sinistra radicale non reggeva più. "La vocazione maggioritaria del Pd, la scelta di andare da soli alle elezioni, è nata qui, è qui che abbiamo cominciato a parlare di un tema come la sicurezza quando a sinistra era un tabù", spiegano gli uomini del sindaco, i quarantenni ex diessini, l'assessore all'Urbanistica Virginio Merola, il capogruppo del Pd Claudio Merighi, cui si è aggiunto il segretario De Maria.
Ci sono i continuisti, fedeli alla tradizione del Pci di Dozza: dialogo con tutti e poi si decide, i figli di un modello di governo molto imitato e molto invidiato nel corso dei decenni. "Consociativismo", per i cofferatiani che citano gli articoli di Pier Paolo Pasolini su 'Nuovi Argomenti', la malattia che blocca Bologna: "Gli intellettuali alla Pasquino, la sinistra radicale, un certo pezzo di mondo cattolico sono legati al rito petroniano, per questo attaccano Sergio". E contrappongono la nuova socialdemocrazia di Cofferati, un sistema di valori con la politica che riprende capacità di decidere.
Anche se, obiettano gli avversari del Cinese, a Bologna negli ultimi anni si è deciso molto poco: ferme le grandi infrastrutture, il passante nord, il progetto della grande stazione, la metro, il people mover, il tram su gomma... E in difesa del modello emiliano e contro il Cinese, si schierano il sindaco di Imola Daniele Manca, quello di Ravenna Fabrizio Matteucci ("Quella di Cofferati è una regressione settaria") e soprattutto il presidente della Regione, Vasco Errani. Più defilato Pierluigi Bersani. Anche il retroterra dell'ex partitone rosso è spaccato: i vertici della Lega coop tifano Cofferati. L'ex amministratore di Unipol, il protagonista delle scalate bancarie, Giovanni Consorte, appoggia Cazzola, con cui è socio nella finanziaria Intermedia.
Infine, ci sono gli ulivisti, l'area che più preoccupa il Cinese. Un pensierino a candidarsi l'ha fatto l'ex ministro delle Politiche agricole Paolo De Castro. La settimana scorsa Pier Ferdinando Casini ha sondato la sua disponibilità come candidato trasversale, dall'Udc a un pezzo di Ds. Non se ne fa nulla, per ora. Ma l'inquietudine dell'area più legata all'Ulivo è arrivata fino al portone di via Gerusalemme, dove abita l'ex premier Romano Prodi. Che nelle conversazioni riservate pesa bene le parole, ma alla fine non nasconde la sua opinione: "Con Sergio si rischia di perdere".
Altro il Professore non aggiunge, ma per i suoi amici impegnati nel Pd il messaggio è chiaro: bisogna provare a cambiare cavallo. Il candidato alternativo nel Pd fatica a farsi avanti: potrebbe essere la Draghetti, che gli ex ds tengono in sospeso, ancora non ha incassato la riconferma alla presidenza della Provincia. Ma per ora è solo un'ipotesi. Cofferati sfida i critici a uscire allo scoperto: "Le primarie le voglio fare io per primo, voglio vedere se i miei avversari hanno la forza di trovare le firme per farle", ha dettato prima di partire per l'Elba. Le elezioni sono la sua prova finale: se vince, ragionano i fedelissimi, Bologna tornerà a essere un laboratorio politico nazionale per la terza volta in cinquant'anni: prima il buongoverno del Pci, poi l'Ulivo di Prodi, ora la socialdemocrazia targata Cofferati, con il Cinese rilanciato come leader nazionale. Bisognerà vincerle le elezioni, però.Sphere: Related Content
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